Qualora il matrimonio incontri ostacoli, i coniugi hanno la possibilità di separarsi, ma solo il divorzio può cancellare gli effetti e provocare lo scioglimento del matrimonio. Nonostante tale separazione le decisioni di maggior interesse relative ai figli continuano comunque a essere prese da entrambi i genitori e gli eventuali obblighi di mantenimento sono a carico del coniuge che ha il reddito più alto. I coniugi separati possono poi decidere di riconciliarsi e di riprendere la vita comune: l’atto esteriore che permette di riprendere il matrimonio, modificando la condizione di separati, è la convivenza.

La separazione può essere consensuale o giudiziale (art. 150), oppure di fatto.

Si parla di separazione consensuale, se di comune accordo i coniugi decidono di separarsi, assumendo decisioni sull’affidamento dei figli, sui rapporti patrimoniali e sull’abitazione familiare. Tale separazione consensuale non ha però effetto senza l’omologazione (condictio iuris della cessazione del rapporto), che deve essere data dal giudice (art. 158) senza che questo possa rifiutarla, salvo che gli accordi relativi ai figli risultino contrari ai loro interessi. Il giudizio del giudice tenuto all’omologazione, dunque, deve essere di merito e di legittimità se ci sono figli, mentre solo di legittimità, nel caso non ci siano.

Il contenuto del rapporto di separazione presenta elementi:

  • necessari, ovvero l’accordo relativo all’an della separazione e, nel caso ci siano dei figli, l’accordo sulle disposizioni ad essi relative.
  • eventuali (es. le disposizioni patrimoniali), che possono essere inseriti anche in documenti non sottoposti all’omologazione.

Per quanto riguarda la capacità richiesta per convenire un accordo di separazione consensuale, si tende a sostenere che questa debba essere sottratta al rappresentante legale, con la conseguenza che un soggetto incapace non potrebbe avvalersi dell’istituto della separazione consensuale. Questa tesi, tuttavia, appare poco fondata sistematicamente perché se davvero la decisione nell’an fosse preclusa al rappresentante legale, questi non potrebbe neppure ricorrere alla separazione giudiziale, che invece è pacificamente accettata. Il diritto di ricorrere alla separazione, dunque, non sembra un atto personalissimo, tesi questa che, per quanto dibattuta, viene confermata in particolare da due dati normativi, ovvero l’art. 119, relativo al diritto del rappresentante di impugnare il matrimonio, e l’art. 126, relativo al diritto del tribunale di ordinare la separazione provvisoria.

Il procedimento di separazione consensuale consta di due fasi:

  • la fase presidenziale, dove il giudice, dopo avere tentato una riconciliazione delle parti (atto formale), richiede eventuali modifiche alle disposizioni inerenti la prole.
  • la fase camerale, dove si decide concretamente se concedere o meno l’omologazione attraverso un decreto.

Durante il periodo piuttosto lungo che intercorre tra queste due fasi, possono avvenire varie revoche del consenso che era stato precedentemente riconosciuto. Tale potere di revoca, tuttavia, risulta sottoposto dei limiti, in quanto:

  • se la revoca del consenso avviene prima della fase presidenziale, essa ha effetto, in quanto vengono meno i presupposti processuali della domanda.
  • se la revoca del consenso avviene dopo, invece, essa non ha effetto, dal momento che risulta impossibile fermare un procedimento che avviene d’ufficio.

Su questo secondo punto, tuttavia, l’incertezza giurisprudenziale è piuttosto forte.

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