I procedimenti giudiziari dinanzi alle assemblee popolari non furono oggetto di modifiche legislative, sebbene in questo campo si realizzarono alcune importanti trasformazioni che aprirono la strada alla riforma del processo penale.

L’antico precetto de capite civis, implicante il giudizio dell’assemblea centuriata nelle cause capitali conserva il suo pieno vigore. Legittimati ad istruire il processo e a portare dinanzi al popolo le proposte di condanna sono i quaestores, la cui competenza, dopo la legislazione decemvirale, si restringe ai soli reati comuni.

Quanto ai casi di perduellione flagrante, essi sono ancora perseguiti dai duumviri perduellionis, anche se con l’andar del tempo trova sempre più ampia diffusione la pratica dei processi tribunizi dinanzi alle centurie.

Accanto ai quaestores e ai duumviri perduellionis operano e acquisiscono col tempo un’importanza sempre crescente i tribuni della plebe. È discussa la data in cui essi conseguirono la facoltà di intentare giudizi criminali apud populum: numerosi autori sono propensi a fissarla verso gli inizi del 3° sec, ma più probabile è la supposizione che già intorno alla metà del 5° sec, venuta meno la facoltà del concilium plebis di giudicare della vita di un cittadino, i tribuni fossero stati ammessi a portare i processi con proposta di pena capitale dinanzi all’assemblea a ciò competente, ovvero dinanzi al comizio centuriato.

Secondo qualche autore, anche dopo la legge delle 12 tavole i tribuni avrebbero conservato la facoltà di intentare processi de capite dinanzi all’assemblea della plebe. Ma le fonti non autorizzano questa conclusione, poiché tutti processi plebei del 5° del 4 ° secolo risultano diretti all’irrogazione di una pena pecuniaria e non della pena capitale.

In conseguenza di tali sviluppi, il ruolo dei tribuni quali organi di giustizia criminale andò rapidamente trasformandosi: dall’antica persecuzione in via rivoluzionaria, dinanzi all’assemblea della plebe, degli offensori e della loro persona e di chiunque violasse le prerogative della comunità plebea, essi passarono alla persecuzione capitale dinanzi alle centurie dei più gravi delitti contro le libertà cittadine (es. varie specie di perduellione come usurpazione o cattivo uso dei poteri pubblici), finendo per assumere la titolarità dell’accusa anche nei casi originariamente rimessi ai duumviri.

Svolsero pertanto una funzione di notevole importanza politica, poiché attraverso un’interpretazione estensiva del concetto di abuso d’ufficio divenne presto perduellione tutto ciò che i tribuni riuscivano a far valere come tale.

Ai tribuni della plebe non era riconosciuta esclusivamente la facoltà di agire per la comminazione di una pena capitale. La legge delle 12 tavole, conferendo la decisione dei processi de capite civis al comizio centuriato, non aveva tolto al concilio plebeo il potere di conoscere dei crimini che davano luogo a semplici sanzioni pecuniarie. Difatti i tribuni conservarono l’antica facoltà di instaurare dinanzi a detta assemblea processi per l’irrogazione di multe.

Tale facoltà passò in seguito anche agli edili curuli, impegnati in processi multatici relativi ad illeciti di varia natura, per lo più connessi alle mansioni di polizia urbana. Si trattava di magistrati patrizi, la cui competenza a giudicare delle multe da essi proposte apparteneva ai comitia tributa.

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