Sentenza di condanna

Ai sensi dell’art. 533 co. 1, il giudice pronuncia sentenza di condanna quando ritiene che l’imputato sia colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio . Lo standard probatorio richiesto per condannare è quello della probabilità logica: per poter affermare la reità dell’imputato occorre che le risultanze probatorie determinino una certezza processuale al di là di ogni ragionevole dubbio in merito alla fondatezza della ricostruzione dell’accusa.

I punti essenziali della sentenza di condanna sono l’accertamento della sussistenza del fatto storico, l’affermazione che l’imputato lo ha commesso, la qualificazione come illecito penale e la determinazione della pena. Vi sono poi altri punti eventuali che riguardano sia gli aspetti penali (es. applicazione delle pene accessorie) sia singoli aspetti civili (es. pronuncia della domanda di risarcimento del danno).

Qualora la condanna riguardi più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e, quindi, ne determina la misura in osservanza delle norme sul concorso di reati o di pene e sulla continuazione (art. 533 co. 2).

Separazione dei procedimenti in sede di condanna

Con il d.l. n. 341 del 2000, convertito nella l. n. 4 del 2001, il legislatore ha introdotto un nuovo istituto, definito separazione in sede di condanna . Il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, può disporre la separazione dei procedimenti per i reati previsti dall’art. 407 co. 2 lett. a (delitti di criminalità organizzata) anche se si tratta di più procedimenti a carico del medesimo imputato. La separazione può essere disposta quando taluno dei condannati si trova in stato di custodia cautelare e sussiste il pericolo di scarcerazione per decorrenza dei termini (art. 533 co. 3 bis).

Statuizioni sulle questioni civili

Quando pronuncia sentenza di condanna e vi è stata costituzione di parte civile, il giudice è tenuto a decidere sulla domanda relativa alla restituzione ed al risarcimento del danno. La domanda risarcitoria non è accolta automaticamente: il giudice, infatti, deve valutare se il danneggiato era legittimato a costituirsi parte civile e se ha subito un danno derivante direttamente dal reato.

Se la parte civile ha subito un danno, il giudice condanna l’imputato a risarcirlo. Di regola il giudice dovrebbe liquidarlo per intero, quantificando la somma dovuta a titolo di risarcimento. Nella prassi giudiziale, tuttavia, la liquidazione del quantum avviene raramente: le prove sulla quantificazione del danno, infatti, richiedono tempo e perizie ed il processo penale non è la sede più adatta per svolgerle. Quando le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, quindi, il giudice pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile (art. 539 co. 1). In previsione di una simile eventualità, il difensore di parte civile, nelle conclusioni che presenta al termine del dibattimento, chiede che il giudice penale conceda una provvisionale, ossia liquidi una determinata somma nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova (co. 2).

Con la sentenza che accoglie la domanda sulle restituzioni e sul risarcimento del danno, peraltro, il giudice penale condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione (art. 541 co. 1).

Il giudice, infine, su richiesta nella parte civile, ordina la pubblicazione della sentenza di condanna (art. 543) qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato.

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