Come detto, in un sistema processuale di tipo inquisitorio, la prova risulta un affare del giudice, che cumula i poteri di ricercare, ammettere, assumere e valutare la prova. Al contrario, in un sistema di tipo accusatorio, spetta alle parti il potere di ricercare le fonti e di chiedere al giudice l’ammissione del relativo mezzo di prova. I poteri in materia, tuttavia, risentono del principio della separazione delle funzioni processuali:

  • alle parti spetta il potere di ricerca e di domanda;
  • al giudice spetta il potere di decidere l’ammissione e di emettere una valutazione.

In un sistema così delineato non conta il soggetto processuale dal quale proviene la richiesta di assumere una determinato mezzo di prova. Quello che conta, al contrario, è il modo in cui tale elemento probatorio resiste al vaglio del contraddittorio operato dalle parti contrapposte, le quali partecipano direttamente al procedimento probatorio (esame incrociato).

Il loro diritto alla prova, in particolare, ricomprende il potere di:

  1. ricercare le fonti di prova;
  2. chiedere la loro ammissione;
  3. partecipare alla loro assunzione;
  4. ottenere una valutazione del risultato.

Ricerca della prova

Il potere di ricercare le prove spetta esclusivamente alle parti (artt. 24 e 111 Cost.):

  • al pubblico ministero (art. 326), tenuto a convincere il giudice della reità dell’imputato;
  • all’imputato (art. 327 bis), legittimato a ricercare sia quelle prove che possano convincere il giudice della non credibilità della fonte sia quelle tendenti a dimostrare che i fatti si sono svolti diversamente.

Ammissione della prova

L’ammissione del mezzo di prova deve essere chiesta al giudice dalle parti (art. 190), le quali hanno l’onere di introdurre il singolo mezzo di prova. Il giudice, in particolare, ammette la prova:

  • pertinente, ossia relativa all’esistenza del fatto storico enunciato nell’imputazione o di uno dei fatti indicati nell’art. 187;
  • non vietata dalla legge (es. divieto di perizia criminologica);
  • non superflua, ossia non tendente al medesimo risultato conoscitivo che si aspetta da una pluralità di mezzi di prova;
  • rilevante, ossia tale che il suo probabile risultato sia idoneo a dimostrare l’esistenza del fatto da provare.

Non occorre che la rilevanza o la non superficialità siano certe: l’art. 190 co. 1, infatti, dispone che il giudice esclude soltanto le prove manifestamente superflue o irrilevanti . Perché la prova sia accolta, quindi, basta che i privati dimostrino la probabile rilevanza o non superficialità.

Il giudice è vincolato anche in un aspetto di carattere procedimentale, dal momento che deve provvedere sulla richiesta di ammissione senza ritardo con ordinanza (co. 1): le parti, infatti, hanno il diritto di affrontare l’istruzione dibattimentale avendo ben chiaro il quadro probatorio di cui possono disporre.

Diritto alla prova contraria

Il codice prevede espressamente il diritto alla prova contraria. In particolare, sia l’imputato (art. 495 co. 2) che il pubblico ministero hanno diritto all’ammissione della prova che ha per oggetto il medesimo fatto e che è finalizzata a dimostrare che esso non è avvenuto o che si è verificato con un modo diverso. La Costituzione riconosce espressamente il diritto alla prova contraria: l’art. 111 co. 3, infatti, dispone che l’imputato ha diritto di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore .

Il diritto ad ottenere l’ammissione della prova contraria di tipo dichiarativo è stato limitato nelle ipotesi di imputazione avente ad oggetto il delitto di associazione mafiosa, i delitti ad esso collegati o alcuni reati di violenza sessuale e di pedofilia (art. 190 bis). In questi casi, se la persona che una parte vuole sentire in dibattimento ha già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio, l’esame è ammesso soltanto in due casi:

  • se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni;
  • se il giudice o una delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze.

Poteri del giudice

Il giudice, di regola, ha soltanto il potere di decidere se ammettere o meno il mezzo di prova chiesto da una delle parti (art. 190 co. 1). In dibattimento, tuttavia, il giudice può ammettere una prova quando questa sia assolutamente necessaria, supplendo in questo modo all’inerzia delle parti. Tale potere di iniziativa probatoria, in particolare, serve ad evitare che, attraverso un accertamento abbandonato al gioco delle parti, sia reso disponibile un diritto inviolabile (es. art. 13 Cost.).

Assunzione della prova

L’assunzione della prova, se si tratta di dichiarazioni rese in dibattimento, avviene con il metodo dell’esame incrociato (cosiddetta tortura civile), comunemente riconosciuto il miglior strumento che permette di valutare se il dichiarante risponde secondo verità: se correttamente usato, infatti, esso consente di smascherare la persona che dice il falso in modo intenzionale o anche soltanto inconsciamente.

L’art. 188, introducendo un divieto probatorio, dispone che non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti .

Occorre sottolineare che il termine acquisizione della prova presenta due significati:

  • in senso stretto, indica l’ammissione della prova precostituita, ossia formata fuori del procedimento o prima del dibattimento (es. incidente probatorio);
  • in senso lato, ricomprende anche l’ammissione e l’assunzione della prova non precostituita (es. dichiarazione).

Valutazione della prova

Le parti hanno il diritto di offrire al giudice la propria valutazione degli elementi di prova: al momento della discussione finale, infatti, le parti illustrano le proprie conclusioni in un ordine che rispetta le cadenze dell’onere della prova (art. 523 co. 1). Il presidente dell’organo collegiale dirige la discussione ed impedisce ogni divagazione, ripetizione ed interruzione (co. 3).

Il giudice, tenuto a dare una valutazione logica dell’elemento di prova raccolto, valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati (art. 192 co. 1). Per rendere effettivo il diritto delle parti alla valutazione della prova, in particolare, il codice prescrive che nella sentenza il giudice debba indicare le prove poste a base della decisione e le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie.

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