Occorre per prima cosa sottolineare la differenza che intercorre tra:

  • diritto sostanziale, un sistema di norme dirette a risolvere conflitti di interessi contrapposti, determinando gli interessi prevalenti attraverso la previsione di poteri, doveri e facoltà;
  • diritto processuale, un sistema di norme che disciplinano meccanismi diretti a garantire che le norme sostanziali siano attuate anche qualora manchi una loro cooperazione spontanea.

Il diritto processuale, quindi, presenta un’evidente natura strumentale rispetto al diritto sostanziale, elemento questo che non deve comunque portare a ritenere autonomi i due complessi di norme: come il diritto processuale non potrebbe esistere senza quello sostanziale, infatti, allo stesso modo il diritto sostanziale non avrebbe senso senza quello processuale.

La presenza nel nostro ordinamento del divieto di autotutela privata (artt. 392 e 393 c.p.) comporta che il diritto sostanziale può dirsi effettivamente esistente solo qualora esistano norme processuali idonee a garantire l’attuazione in ipotesi di mancata cooperazione spontanea. Nel nostro sistema, quindi, il diritto sostanziale non può esistere senza quello processuale: un ordinamento che si limitasse ad affermare una situazione di vantaggio (es. diritto di riunione) a livello sostanziale senza predisporre a livello processuale strumenti idonei a garantire l’attuazione di tale diritto, infatti, sarebbe un ordinamento incompleto.

Perché sia assicurata la tutela giurisdizionale di una determinata situazione di vantaggio, peraltro, non basta che a livello processuale sia predisposto un procedimento quale che sia, essendo invece necessario che il titolare della situazione di vantaggio violata possa utilizzare un procedimento strutturato in modo tale da offrirgli una tutela effettiva. Da qui la necessaria pluralità di processi e di forme di tutela giurisdizionale

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