La legittimazione ad agire individua il soggetto legittimato a far valere in giudizio il singolo diritto sostanziale. La regola generale in tema di legittimazione ad agire è desunta dall’art. 24 co. 1 Cost., secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti : solo chi si afferma titolare del diritto è legittimato a farlo valere in giudizio. A fronte di questa regola generale l’art. 81 avverte che la legge può prevedere ipotesi espresse in cui terzi non titolari del diritto sono legittimati a farlo valere nel processo in nome proprio (legittimazione straordinaria):

  • in ipotesi di rischio che il debitore non sia capace di far fronte con il suo patrimonio all’adempimento di tutte le sue obbligazioni, in caso di inerzia del debitore, i creditori sono legittimati disgiuntamente a far valere in giudizio i diritti a contenuto patrimoniale del debitore (art. 2900 c.c.);
  • l’usufruttuario è legittimato ad esercitare l’azione confessoria o negatoria servitutis in ordine al fondo, ossia a far valere in nome proprio diritti del proprietario (art. 1012 c.c.);
  • l’azione di nullità del contratto può essere fatta valere non solo dalle parti del contratto ma anche da chiunque vi abbia interesse (art. 1421 c.c.);
  • il matrimonio contratto in violazione degli artt. 86, 87 e 88 c.c. può essere impugnato non solo dai coniugi, dagli ascendenti e da chiunque vi abbia un interesse legittimo ed attuale , ma anche dal pubblico ministero (art. 117 c.c.).

Al ridursi dell’autonomia privata e all’emergere di caratteri di indisponibilità o addirittura di coinvolgimento di interessi pubblicistici nei rapporti giuridici privati, il legislatore può incidere discrezionalmente sulla legittimazione ad agire consentendo che legittimati a dedurre il rapporto in giudizio siano non solo i titolari ma anche terzi privati o addirittura il pubblico ministero

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