Strettamente collegata col tema cui si è ora accennato è l’estinzione del processo, che può aversi per rinuncia agli atti del giudizio o per inattività (mancato impulso di parte). Tale inattività si distingue in due grosse categorie (art. 307):

  • l’inattività semplice ricorre se le parti omettono di dare impulso al processo (es. mancata comparizione dell’attore ex art. 290). In questi casi il processo si estingue istantaneamente o dopo una fase di quiescenza di un anno;
  • l’inattività qualificata si ha quando la legge, alla presenza di un vizio del processo, abilita il giudice a porre in essere una fattispecie sanante costituita dal fissare alla parte o alle parti un termine perentorio entro il quale sanare il vizio. In questi casi, qualora la parte non effettui l’attività sanante entro il termine fissato, si ha un’inattività qualificata e quindi un’estinzione immediata del processo, dichiarata di ufficio dal giudice.

Quale che ne sia la causa, l’estinzione è una questione pregiudiziale di rito idonea a definire il giudizio. L’estinzione dovrebbe quindi essere sempre pronunciata con sentenza ai sensi dell’art. 279 co. 2 n. 2. Per esigenze di semplici fazione l’art. 308 prevede che, qualora la controversia penda davanti al giudice istruttore di tribunale e questi eccezionalmente non abbia i poteri decisori del giudice singolo, l’estinzione sia pronunciata con ordinanza dal giudice istruttore.

Gli effetti dell’estinzione sono descritti dall’art. 310:

  • l’estinzione del processo non estingue l’azione, ossia non preclude la riproposizione della stessa domanda in un secondo giudizio;
  • l’estinzione rende inefficaci tutti gli atti processuali con quattro eccezioni:
    • le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo (non definitive);
    • le pronunce che regolano la competenza;
    • l’estinzione comporta che le spese processuali restino definitivamente a carico delle parti che le hanno anticipate.
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