A partire dagli anni sessanta, il bene giuridico è tornato al centro del dibattito penalistico, e questo, principalmente, in ragione della sua riscoperta funzione critico-garantista di entità preesistente, ricavabile sia da fonti metagiuridiche, sia da fonti giuridiche superiori (Costituzione).

La travagliata storia del bene giuridico sta ad insegnare che esso, per poter assolvere alla sua funzione critico-garantista, richiede il concorso di due presupposti:

  • la sua preesistenza ontologica alla norma.
  • la sua vincolatività per il legislatore.

Secondo l’innovativa impostazione costituzionalistica, tale duplice esigenza è soddisfatta dai beni costituzionalmente orientati, ossia dai beni costituzionalmente rilevanti o dai beni desumibili dall’attuale realtà socio-culturale costituzionalmente non incompatibili. L’oggettività giuridica dei reati, quindi, deve essere circoscritta a tale categoria di beni.

Il bene giuridico costituzionalmente orientato, a causa delle incertezze e della polivalenza della Costituzione, non offre magiche soluzioni al problema della tutela penale, tuttavia, visto il carattere rigido e garantista della stessa, costituisce un poderoso strumento per la ricostruzione della Parte speciale del diritto penale, segnandone le direttrici di fondo.

Tali direttrici, in particolare, consistono:

  • nella criminalizzazione dei fatti offensivi di precise tipologie di oggettività giuridiche di categoria, enucleate sulla base dei beni tutelati dalla Costituzione o desunti dalla realtà socio-culturale (beni costituzionalmente orientati).

Il fatto che l’oggetto giuridico sia un bene-interesse, costituzionalmente significativo, non porta necessariamente a negare al diritto penale una qualsiasi funzione propulsiva, tuttavia, il ricorso al discusso diritto penale propulsivo è accettabile solo se esso è volto a decriminalizzare fatti di offensività opinata ma non reale, o a criminalizzare fatti di offensività reale ma non ancora percepiti come tali dai consociati.

  • nell’eliminazione come illeciti non solo penali, ma anche amministrativi, dei reati che tutelano interessi incompatibili con la Costituzione, costituzionalmente non rilevanti o anacronistici rispetto alla realtà socio culturale attuale (es. reato di mendicità).
  • nella depenalizzazione, ovvero nella trasformazione di certi reati in illeciti amministrativi.

Il criterio distintivo tra questi due tipi di reati viene tendenzialmente offerto dal principio costituzionale di offensività, essendo l’ambito naturale:

  • dell’illecito penale, la tutela dei valori costituzionalmente rilevanti contro i fatti di elevata offesa.
  • dell’illecito amministrativo, la tutela dei beni costituzionalmente non incompatibili, oppure la tutela anticipata.

Si impone quindi la necessità di ripercorrere a ritroso il processo di criminalizzazione responsabile dell’attuale inflazione di figure criminose, la quale sta soffocando il processo penale, vanificando così anche la possibilità di una seria politica criminale.

  • nel proporzionare la specie e la quantità della pena dei reati al diverso rango dei beni e al diverso rango e qualità dell’offesa. La concretezza del bene, infatti, è fondamentale per il giudizio di proporzione, presupponendo esso che il bene tutelato sia specificato similmente al bene sacrificato con la pena.
  • nella qualificazione del reato come delitto o contravvenzione, che, oltre certa misura, non dipende più dalle valutazioni del legislatore, ma dall’importanza del bene e dal grado di offesa al medesimo, con la conseguente:
    • elevazione a delitti di certe attuali contravvenzioni lesive di valori costituzionali di particolare rilievo.
    • degradazione a contravvenzioni o ad illeciti amministrativi di quei delitti offensivi di interessi costituzionalmente non rilevanti, pur se meritevoli di tutela.
    • nell’adeguamento, in via interpretativa e nei limiti consentiti dal principio di tipicità, della legislazione penale ai nuovi valori costituzionali.
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