Identiche negli elementi costitutivi, la rapina propria e la rapina impropria si differenziano per la fase dell’iter criminis in cui avviene il ricorso al mezzo della violenza:

  • nella rapina propria, per entrare in possesso della cosa;
  • nella rapina impropria, per assicura il possesso o procurare l’impunità.

Circa il requisito dell’immediatezza tra sottrazione e violenza, non appare che esso possa intendersi nel senso che sia necessario che si susseguano con una soluzione di continuità che non superi i termini della flagranza o quasi flagranza di reato ex art. 382 c.p.p.: tali categorie processuali, infatti, essendo nate per altre finalità, portano ad un non consentito ampliamento della rapina impropria. La linea di demarcazione tra rapina propria ed impropria va individuata nei seguenti elementi:

  • si ha rapina propria quando la vis rappresenta il mezzo per neutralizzare ostacoli di persona che si interpongono tra l’agente e la cosa da sottrarre, da cui l’alternativa tra ricorrere alla violenza o rinunciare alla sottrazione della cosa.

Non si ha quindi tentata rapina, ma solo concorso tra furto tentato e violenza privata nel caso in cui la vis sia usata dall’agente prima di aver realizzato la sottrazione per mettersi in salvo;

  • si ha rapina impropria quando la visrappresenta il mezzo per neutralizzare ostacoli di persona insorti immediatamente dopo la sottrazione, da cui l’alternativa tra ricorrere alla violenza o rinunciare al mantenimento di un possesso non ancora consolidato o all’impunità. La rapina impropria, in particolare, si ha:
    • nell’ipotesi in cui l’agente abbia già attuato la sottrazione ma non ancora realizzato l’impossessamento (es. ladro che, gettati i sacchi da un autocarro in corsa, usa violenza al passante che si oppone alla raccolta degli stessi);
    • nell’ipotesi in cui l’agente, attuata la sottrazione, abbia già operato ma non ancora consolidato l’impossessamento (es. ladro che usa violenza appena uscito dalla banca svaligiata). Questa ipotesi coincide con la fase transitoria in cui l’agente è entrato in possesso della cosa, ma non ha ancora realizzato la situazione di pacifica ed indisturbata disponibilità, poiché il suo possesso appare ancora palesemente in contrasto col diritto.

Circa l’elemento soggettivo, trattasi di reato a duplice dolo specifico, richiedendo l’art. 628 co. 2, almeno implicitamente, il dolo specifico del furto e l’ulteriore dolo specifico della coscienza e volontà di usare la violenza o minaccia al fine di assicurare a sé o ad altri il possesso o di procurare a sé o ad altri l’impunità. Deve essere respinta l’opinione che nega la sussistenza della rapina impropria quando il reo, essendo stato con certezza riconosciuto ed identificato, usi violenza per impedire di essere arrestato, mentre l’ammette quando l’identificazione non sia avvenuta.

La perfezione si ha nel momento e nel luogo in cui viene posta in essere la violenza o la minaccia:

  • nella rapina propria è necessario l’impossessamento per la perfezione del reato;
  • nella rapina impropria è sufficiente che, dopo la sottrazione, il soggetto usi violenza o minaccia per realizzare l’impossessamento.

Il tentativo va ammesso in considerazione del fatto che ben può configurarsi un tentativo di violenza o minaccia. Circa il problema del quando sia configurabile il tentativo:

  • la costante giurisprudenza richiede che l’agente abbia posto in essere la vis dopo aver tentato la sottrazione, non realizzata per cause indipendenti dalla sua volontà;
  • la prevalente dottrina richiede che l’agente abbia tentato di porre in essere la vis immediatamente dopo aver realizzato la sottrazione.

Essendo giuridicamente corretta questa seconda opinione, il tentativo di rapina impropria è configurabile quando l’agente, sottratta la cosa, cerchi senza riuscirci di usare la vis a chi vuole impedirgli di assicurarsi il possesso o l’impunità

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