Il concetto di patrimonio svolge la duplice funzione:

  • di limite esterno, in quanto contrassegna l’omogeneità patrimoniale della categoria, caratterizzata tendenzialmente dall’offesa patrimoniale individuale. In questo modo, peraltro, delimita i delitti contro il patrimonio dai reati che tale bene non offendono e, in particolare, dai delitti limitrofi contro l’economia pubblica, lesivi di interessi collettivi attinenti al sistema economico;
  • di limite interno, in quanto porta ad escludere la sussistenza del delitto patrimoniale nei casi in cui il fatto concreto non comporti una reale offesa al patrimonio.

All’interno della comune oggettività giuridica patrimoniale, occorre tuttavia chiedersi quale sia il principium individuationis che meglio consente di contraddistinguere i singoli delitti. Risultano essere completamente inadeguate:

  • la classificazione incentrata sul movente, la quale distingue tra i delitti col fine di profitto e i delitti col fine di danno (animus nocendi): tale suddivisione, infatti, tende a spostare il disvalore del reato sulla finalità dell’azione, in contrasto coi principi di materialità e di offensività, e non riflette compiutamente la sistematica del codice penale, ove tra l’altro i delitti di danneggiamento si fermano all’incidenza immediata della condotta sulla cosa e non richiedono alcun animus nocendi;
  • la classificazione incentrata sul tipo di risultato patrimoniale, la quale distingue tra i delitti di arricchimento, che comportano un trapasso di valori da patrimonio a patrimonio e i delitti di impoverimento, che si esauriscono nella mera diminuzione patrimoniale per la vittima: tale suddivisione, infatti, non riesce a contraddistinguere all’interno delle due categorie le varie fattispecie criminose;
  • la classificazione incentrata sul mezzo, adottata dal codice, la quale distingue tra i delitti mediante violenza alle persone e alle cose e i delitti mediante frode: tale suddivisione, infatti, pur avendo un indubbio valore criminologico, sul piano tecnico-giuridico si rivela priva di utilità differenziatrice, sia per la sua generica approssimazione, sia perché una stesso reato può essere posto in essere col mezzo violento o con quello fraudolento, sia perché esistono non poche fattispecie difficilmente riconducibili all’uno o all’altra categoria senza che i concetti di violenza e di frode restino snaturati.

Maggiormente conforme ai principi del nostro diritto penale è la classificazione incentrata sulle tipologie di aggressione: secondo la dottrina moderna, infatti, nell’ambito della comune oggettività giuridica patrimoniale, le singole figure criminose si stagliano, innanzitutto, in funzione dei differenti tipi di condotta, considerati nella loro diversa attitudine offensiva. Tale classificazione, peraltro, svolge una duplice funzione:

  • una funzione politico-garantista, poiché:
    • tiene ancorati i reati patrimoniali ad una concezione oggettivistica del diritto penale, incentrata sul fatto offensivo;
    • risponde compiutamente alle esigenze di frammentarietà del diritto penale, dovendo essere la disciplina penale patrimoniale, più che per ogni altra categoria di reati, frammentaria, essendo i reati patrimoniali reati di modalità di lesione;
    • offre i criteri di tecnica legislativa per eliminare quegli eccessi casistici che, provocando il fenomeno degenerativo della proliferazione delle fattispecie legali, contrastano con le esigenze di tassatività, certezza e chiarezza giuridica;
    • consente di individuare le lacune di tutela da colmare de iure condendo;
    • una funzione dogmatico-interpretativa, ravvisandosi nel tipo di aggressione l’elemento illuminante della fattispecie patrimoniale e, quindi, il punto di partenza per l’elaborazione dogmatica dell’intera categoria dei delitti contro il patrimonio.

La summa divisio dei delitti patrimoniali, quindi, deve essere effettuata tra:

  • i delitti di aggressione unilaterale, nei quali il reo sceglie la via immediatamente diretta alla cosa e la vittima si limita a subire il reato, non prestando alcuna collaborazione cosciente e volontaria alla produzione del risultato patrimonialmente pregiudizievole. In tali delitti la mancanza dell’atto di disposizione patrimoniale costituisce un implicito requisito negativo, in quanto il risulta patrimoniale deve verificarsi al di fuori di qualsiasi consenso della vittima.

Scelta la via dell’aggressione unilaterale, quindi, l’agente è necessariamente costretto:

  • a ricorrere, qualora intenda operare un trapasso di valori patrimoniali dal patrimonio della vittima al proprio, agli schemi ontologici della sottrazione (es. furto) o del signoreggiamento uti dominus della cosa (es. appropriazione);
  • a ricorrere, qualora intenda arrecare la perdita di elementi patrimoniali senza trasfusione alcuna nel proprio patrimonio, allo schema ontologico dell’annullamento o riduzione della funzione strumentale della cosa (es. danneggiamento);
  • a ricorrere, qualora rivolga la propria aggressione esclusivamente al patrimonio immobiliare, agli schemi ontologici della mera turbativa (es. turbativa violenta del possesso) o dello spoglio (es. usurpazione), essendo la prima soltanto limitazione e il secondo anche privazione dei poteri di fatto che l’avente diritto può esercitare sulla cosa;
  • a ricorrere, qualora sia investito per legge o per negozio giuridico di poteri incidenti sull’altrui sfera patrimoniale, allo schema ontologico dell’abuso di poteri (es. infedeltà patrimoniale);
  • i delitti con la cooperazione della vittima, nei quali il reo mette a partito gli schemi dell’autonomia privata e la vittima contribuisce a produrre il risultato patrimoniale pregiudizievole, non limitandosi a subire l’offesa ma essendone in un certo senso anche protagonista. In tali delitti l’atto di disposizione patrimoniale costituisce un implicito requisito positivo, concretandosi in esso la cooperazione artificiosa della vittima e costituendo esso il fattore decisivo del risultato patrimoniale pregiudizievole.

Per conseguire l’atto dispositivo della vittima, all’agente si aprono gli schemi ontologici:

  • dello sfruttamento di una preesistente situazione di svantaggio, dovuta alle condizioni di debolezza (psichica o economica) o alla situazione di ignoranza o di errore in cui versa la vittima (es. circonvenzione di incapaci, usura, insolvenza fraudolenta);
  • dei tradizionali strumenti della violenza o minaccia e della frode, per carpire un consenso che altrimenti sarebbe stato negato o prestato ad altre condizioni (es. estorsione, truffa).

Non rientrano nelle suddette categorie ma vanno comunque ricordate le aggressioni consistenti nella perpetrazione o nel consolidamento di una situazione patrimonialmente pregiudizievole, creata dall’altrui precedente commissione di un reato. In questo caso l’offesa patrimoniale consiste nell’aggravamento del danno per il titolare del bene, perché il passaggio da un soggetto ad un altro ne rende più arduo il recupero (es. ricettazione) o perché si aiuta l’agente ad assicurarsi i vantaggi derivanti dal reato (es. riciclaggio), creando ulteriori ostacoli all’accertamento giudiziario dei reati e alla punizione dei colpevoli.

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