Le radici del diritto, come detto, sono quattro, il Corano, la sunna, l’igma (consenso della comunità) e il qiyas (ragionamento analogico), i primi due direttamente collegati alla rivelazione divina, mentre gli altri collegati solo indirettamente.

Corano

Il Corano (da cui Qur’an: <<rivelazione ricevuta>>) è il libro che contiene l’insieme delle rivelazioni che il Profeta Muhammad ritenne di aver ricevuto testualmente in arabo da Dio attraverso un messaggero celeste (arcangelo Gabriele). La tradizione islamica è unanime nel riconoscere che il Corano fu rilevato a brani isolati nel corso della sua ultraventennale predicazione religiosa. Muhammad, quando ne riceveva la comunicazione, prima la affidava alla memoria e successivamente provvedeva a dettarla ai suoi segretari, che annoveravano il testo sul materiale scrittorio che avevano a disposizione. Mettere insieme i testi delle rivelazioni divine fu opera personale i alcuni suoi compagni. La redazione ufficiale del testo definitivo, che costituisce sostanzialmente il Corano attuale accolto da tutti i musulmani, fu compiuta per ordine del terzo califfo Uthman (644-654 d.C.), che seguì l’unico criterio del sistema i capitoli (114) in ordine decrescente per lunghezza. Alla raccolta venne poi premessa la breve sura detta l’Aprente il Libro. Da secoli e secoli il Corano si scrive in arabo con tutti i segni delle vocali e con le altre indicazioni ortografiche. All’epoca di Uthman, tuttavia, i segni per la notazione delle vocali non esistevano, motivo per cui la lettura e l’interpretazione del testo erano impossibili. I punti diacritici e le vocali furono introdotto solo nel VII sec. d.C., troppo tardi per evitare alcune discrepanze di lettura nelle varie scuole musulmane. Con la sola eccezione della prima sura, il Corano è tutto in forma di discorso diretto a Muhammad da parte di Dio, di contenuto assai vario. Nei brani rivelati alla Mecca l’argomento è tutto religioso e morale, mentre in quelli rivelati a Medina il carattere giuridico comincia risulta prevalente. Su poco più di 6200 versetti contenuti nel Corano, tuttavia, soltanto 500 circa esprimono regole giuridiche:

  • norme dogmatiche (es. credenze in Dio);
  • norme morali (es. qualità dell’uomo virtuoso);
  • norme culturali (es. preghiera, digiuno);
  • regole alimentari e di vestiario;
  • regole giuridiche (100 circa) in materia di schiavitù e status libertatis, matrimonio, ripudio e successione, reati e pene stabilite per la fornicazione, l’adulterio, il consumo di vino, la vendita, la locazione, il diritto di guerra ecc.

Si incontrano talvolta norme di carattere contraddittorio, perché rivelate in epoche diverse, contraddizioni tuttavia che il Corano stesso ammette, asserendo che Dio può abrogare le sue precedenti disposizioni e sostituirle con nuove. Da qui la necessità di conoscere quale sia il versetto cronologicamente anteriore e quale sia il posteriore abrogante. Alla frammentarietà di alcune parti ripara la sunna, ossia l’insieme delle tradizioni relative ai detti e alle azioni del profeta Muhammad (commento autentico del Corano).

Sunna

La seconda radice è la sunna, designante il modo di comportarsi del Profeta Muhammad nelle varie circostanze, non in quanto profeta ma in quanto uomo, la cui condotta è considerata ispirata dalla divinità e alla quale, di conseguenza, è stata attribuita efficacia giuridica. Il concetto di sunna ha avuto uno sviluppo articolato e rappresenta uno dei problemi più complessi di tutta la storia del diritto islamico, dal momento che la stessa dottrina si è spesso posta il problema della sua autenticità. Tale fonte normativa, tuttavia, sarebbe stata definitivamente fissata agli inizi del III sec. dell’egira ad opera di Muhammad al-Shafi’i.

Fonti di cognizione della sunna sono i racconti o ahadith, tradizioni che riferiscono un comportamento di Muhammad, trasmessi oralmente da una catena di trasmettitori. Dalla lunghezza della catena o dal numero dei trasmettitori, in particolare, deriva la maggiore o minore veridicità del testo. Il punto controverso in ordine agli ahadith è quello relativo alla loro autenticità. A tale problema, come detto, ha prestato attenzione anche la scienza giuridica musulmana, la quale sostiene che, se i trasmettitori sono attendibili e veridici, il fatto narrato è autentico, testimonianza di un fatto storico accaduto.

Igma (o consenso)

Il termine igma rimanda all’accordo di opinione della Comunità in fatto di credenze religiose, di fiqh e di etica. Per i sunniti l’igma è la terza radice, posizione questa che viene giustificata soprattutto sulla base di un detto attribuito a Muhammad: <<la mia Comunità non si troverà mai d’accordo sopra un errore>>. Da qui il concetto dell’infallibilità del parere unanime della collettività musulmana, che sopperisce alla mancanza di una gerarchia ecclesiastica, utilizzata nel nostro sistema per risolvere questioni giuridiche o teleologiche dubbie. Per certi aspetti, peraltro, la funzione dell’igma appare superiore anche a quella del Corano e della sunna, dal momento che l’autenticità di queste due fonti e la loro autentica interpretazione sono garantite proprio dal giudizio concorde delle generazioni di musulmani a loro riguardo. I musulmani sciiti, al contrario, non ammettono l’igma o la restringono in modo consistente ai soli discendenti diretti di Muhammad seguiti dalla dottrina sciita.

Qiyas (o procedimento analogico)

La quarta ed ultima fonte del diritto è il qiyas, termine che nel linguaggio giuridico significa deduzione analogica, ossia applicazione ad un caso nuovo di una delle cinque qualificazioni legali, sulla base della comparazione con casi o atti che possano giudicarsi analoghi. Il presupposto dell’esistenza del qiyas è che fra il caso nuovo e quello originario vi sia una somiglianza indubbia, oppure che appaia logico applicare al nuovo caso il precetto di quello originario.

La legittimità del qiyas, per affermarsi, ha trovato non pochi oppositori, cosa questa che ha comprensibilmente creato non poche problematiche alla dottrina. Ci si è chiesti, in particolare:

  • se sia lecito all’uomo investigare quale possa essere stato il motivo che ha determinato nell’intelletto divino il precetto;
  • per quali vie si debba ritenere possibile la determinazione da parte della ragione di un precetto scaturente dal Corano, dalla sunna o dall’igma;
  • quali siano le condizioni indispensabili perché sia possibile il qiyas.

Il ragionamento per dalil (induzione) consiste nell’applicare una disposizione di legge ad un caso che presenti, anche in minima parte, delle analogie con il caso disciplinato, in modo da permettere di concludere che questa disposizione è applicabile (es. assimilazione tra schiavo e animale, da cui la responsabilità per il padrone di risarcire i danni causati dallo schiavo).

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