Secondo il diritto internazionale consuetudinario, il mare territoriale è sottoposto alla sovranità dello Stato costiero così come il territorio di terraferma: la sovranità esercitata sulla costa, infatti, implica la sovranità sul mare territoriale. Al riguardo l’art. 2 della Convenzione di Montego Bay stabilisce che la sovranità dello Stato si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne, a una zona di mare adiacente alle coste denominata mare territoriale. In base ad un principio ormai consolidato, comunque, il mare territoriale può estendersi fino ad un massimo di 12 miglia marine dalla costa (art. 3).

Lo Stato costiero avrebbe il diritto di esercitare poteri di vigilanza doganale in una zona contigua al mare territoriale. Tale dottrina viene recepita dall’art. 33 della Convezione di Montego Bay, il quale stabilisce che in una zona di alto mare contigua al mare territoriale, lo Stato costiero può esercitare il controllo necessario in vista:

  • di prevenire la violazione delle proprie leggi di polizia;
  • di reprimere le violazione alle medesime leggi, qualora siano state commesse nel suo territorio o nel suo mare territoriale.

La lunghezza massima di tale zona contigua, peraltro, è fissata a 24 miglia marine.

A detta del Conforti, limitatamente alla vigilanza doganale, il potere dello Stato costiero incontra un limite funzionale e non spaziale: lo Stato può far tutto ciò che è necessario per prevenire e reprimere il contrabbando nelle acque adiacenti alle sue coste. La distanza, quindi, può essere anche superiore alle 12 o alle 24 miglia marine, a patto che non si tratti di una distanza tale da far perdere ogni idea di adiacenza. La prassi di tutti i tempi, tuttavia, mostra una netta tendenza a non tener conto delle distanze ma per l’appunto dell’interesse alla repressione del contrabbando, regolando anche la distanza in funzione di questo interesse.

Quando si vuole sostenere a tutti i costi che la vigilanza doganale possa essere esercitata soltanto entro spazi determinati, si è soliti ricorrere alla teoria della presenza costruttiva, ossia alla tesi secondo cui la nave che abbia contatti con la costa è come se si trovasse negli spazi sottoposti al potere di governo dello Stato costiero.

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