Un criterio generale di intervento finanziario dello Stato a favore delle confessioni religiose è costituito dal riconoscimento ai contribuenti della possibilità di dedurre dal reddito imponibile le erogazioni liberali in denaro da loro destinate alle confessioni medesime, fino all’importo complessivo annuo di € 1.032,91 (art. 10 co. 1 del d.p.r. n. 917 del 1986). Il sistema sembra chiaramente finalizzato a stimolare le offerte volontarie dei fedeli, secondo una modalità simile a quella cui lo Stato ricorre nei casi di cattivo funzionamento del mercato: lo Stato sostiene domanda attraverso il sussidio finanziario al produttore di un bene (confessioni religiose), in modo che possa essere soddisfatta la domanda (bisogno del sacro) di un più ampio numero di cittadini.

Il sostegno finanziario alle confessioni religiose realizzato mediante il riconoscimento della deducibilità di erogazioni liberali è più ampio di quello che emerge dalla legislazione pattizia. Basti pensare alla deducibilità riconosciuta dall’art. 100 co. 2 del d.p.r. n. 917 del 1986 delle erogazioni effettuate a favore di persone giuridiche che perseguono finalità di culto fino ad un ammontare non superiore al 2% del reddito di impresa dichiarato, a favore di enti per interventi di restauro o manutenzione dei beni culturali e a favore delle ONLUS o delle iniziative umanitarie gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio, nei paesi non appartenenti all’OCSE, per importo non superiore ad € 2.065,83.

Quanto all’utilizzo che la normativa prevede si possa fare delle somme ricavate dalle erogazioni liberali deducibili, la Chiesa cattolica si è impegnata ad impiegarle per il sostentamento del clero, mentre la Tavola valdese, solo per fare un ulteriore esempio, per il mantenimento del culto e per il sostentamento dei ministri.

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