Qualora il sistema si esaurisse in quanto si è descritto, esso sarebbe gravato da un’eccessiva ed insostenibile rigidità, poiché le vicende del rapporto propongono anche situazioni nelle quali si controverte sull’esatto soddisfacimento, o sull’esistenza stessa, di diritti già maturati. Una coerente applicazione dei principi di imperatività e di inderogabilità in peius comporterebbe l’impossibilità per il lavoratore di conciliare le eventuali vertenze giudiziarie con la parziale accettazione dei diritti a lui spettanti. Tale transazione , infatti, sarebbe da considerarsi nulla, in quanto dispositiva di diritti spettanti per legge o per contratto collettivo.

Tuttavia, se il lavoratore fosse privato di qualsiasi margine di disposizione negoziale anche per la gestione di vicende pregresse, si comprimerebbe in misura eccessiva la sua autonomia, e il datore di lavoro, per converso, vivrebbe perennemente nell’incertezza di vedere rivendicati diritti.

Il risultato del tentativo di conciliazione di queste varie esigenze è la disciplina dell’art. 2113, il quale concerne quegli atti che possono contenere una dismissione di diritti, come la rinuncia o la transazione, aventi ad oggetto diritti del lavoratore subordinato, derivanti da norme inderogabili. Per poter essere assoggettati alla disciplina dell’art. 2113, tuttavia, i diritti in questione non debbono soltanto derivare da una fonte legale o collettiva, ma debbono anche essere stati maturati:

  • co. 1: eventuali rinunce (atti unilaterali) o transazioni (contratti) aventi ad oggetto diritti già maturati non sono valide .
  • co. 2: l’impugnazione della rinuncia o della transazione deve essere proposta entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto oppure dalla data della rinuncia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.

Da tale disposizione si trae chiaramente che:

  • l’invalidità sancita (co. 1) è relativa, dal momento che essa può essere statuita soltanto a seguito di un’azione di annullamento promossa dal lavoratore.
  • la previsione di un termine di decadenza per l’impugnativa implica la possibilità che l’invalidità della rinuncia o della transazione non possa più essere fatta, successivamente, valere, cosa questa che non potrebbe accadere ove si trattasse di nullità.
  • co. 3: le rinunce e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a rendere nota la volontà. L’azione sarà poi necessaria qualora, non aderendo spontaneamente il datore di lavoro, il lavoratore intenda far annullare la rinuncia o la transazione, rivendicando il diritto che era stato oggetto dell’atto dispositivo invalido.
  • co. 4: sono previste tre significative eccezioni all’invalidità in discorso, alle quali se ne deve aggiungere una quarta, introdotta dal d.lgs. n. 276 del 2003. La descritta invalidità, infatti, non ha luogo qualora la rinuncia o la transazione, pur dispositiva di diritti inderogabili, sia stipulata:
    • con l’assistenza di un’associazione sindacale dei lavoratori.
    • avanti alla Commissione provinciale di conciliazione costituita pressa la Direzione provinciale del lavoro.
    • avanti a un giudice, ovvero nell’ambito di una controversia di lavoro.
    • avanti alle Commissioni preposte alla certificazione dei contratti di lavoro.

In tali sedi, infatti, si presume che la debolezza negoziale del lavoratore sia superata, in forza dell’esistenza di soggetti, preposti a proteggerlo o imparziali, che lo assistano nell’atto dispositivo, e che pertanto verifichino se esso risponde davvero ad un’effettiva e non coartata volontà del lavoratore.

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