La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 contiene tutte le istanze finora analizzate. Infatti, essa si pone come una vera e propria costituzione che intende stabilire limiti legali all’esercizio della potestà legislativa ma, nel contempo, contiene anche un programma politico consistente nell’individuare nel legislatore il soggetto che con la legge che è espressione della volontà popolare rappresenta la nazione sovrana. Nella Dichiarazione, dunque, si fondono la tradizione costituzionalista epurata dalla teoria della separazione dei poteri con la sovranità popolare.

Nella costituzione francese del 1791 i tempi erano maturati per dare centralità assoluta al potere legislativo, nonostante si attribuisse al re un importante potere di veto sospensivo da esercitare solo nella sua tradizionale qualità di rappresentante dell’unità nazional. Il re, poi, come organo del potere esecutivo era completamente sottoposto al potere legislativo perché la costituzione affermava che il governo doveva essere condotto avanti dalla stessa assemblea legislativa. Lo stesso vale per i giudici e i tribunali che, in base alla costituzione, non poteva ingerirsi nel potere legislativo o sospendere l’esecuzione delle leggi. La Costituzione, poi, individuava la figura dei cittadini attivi cui era riservato il diritto al voto.

Tali cittadini erano individuati in base al censo piuttosto modesto e non eleggevano direttamente i deputati cosicché era chiaro il timore nutrito verso il suffragio universale e diretto. Si trattava di una costituzione non perfettamente democratica, perciò si sentì ben presto l’esigenza di trasformarla per renderla effettivamente democratica eliminando il re e introducendo il suffragio universale e diretto.

Ciò accadde con la Costituzione giacobina del 1793. In questa costituzione che iniziava con una nuova dichiarazione dei diritti non si parlava più di nazione ma di popolo inteso come universalità di cittadini francesi viventi. Si introducevano, poi, nuovi diritti di solidarietà, di istruzione di assistenza e al lavoro e, soprattutto, si ponevano le basi per un integrale demolizione della rappresentanza politica. Infatti, si tendeva a ridurre notevolmente il ruolo del parlamento e a rafforzare gli strumenti di democrazia diretta.

Nonostante ciò la nuova costituzione continua quella precedente perché resta una costituzione monista che tende, cioè, a rappresentare il soggetto sovrano, nazione o popolo, in uno dei poteri della costituzione cioè quello legislativo. Il potere legislativo esercitato in nome del popolo teneva sotto controllo gli altri due poteri in modo tale da impedire che la volontà generale contenuta nella legge potesse essere tradita dai giudici o dal governo.

La costituzione del 1793 non entrò mai in vigore e fu seguita da quella del 1795 dominata dalla necessità di riflettere criticamente sui risultati raggiunti con la rivoluzione che cercava di imporsi un limite attraverso la costituzione. Ancora una volta intervenne Sieyes il quale chiarì che la costituzione doveva avere il compito di organizzare la macchina politica cioè il concorso dei poteri costituti, definendone compiti e funzioni. Così in questa nuova costituzione si abbandonò il suffragio universale e diretto e si tornò a legare il diritto al voto al censo, si creò un organo legislativo bicamerale e si nominò un direttorio cui la costituzione affidava un vero e proprio potere esecutivo. Questa costituzione tendeva, dunque, a rimuovere il modello monistico della suprema potestà legislativa ma non certo a favore di un autentico bilanciamento dei poteri. La centralità del potere legislativo, infatti, rimaneva un punto forte ma veniva costituzionalmente disciplinata. Si rivendicava in questo modo il valore normativo e prescrittivo della costituzione che doveva regolare anche il potere legislativo.

La Francia, dunque, a differenza dell’America non poteva ripetere l’esperienza inglese del bilanciamento dei poteri perché è caratterizzata da una rivoluzione che tende a demolire l’antico regime e non semplicemente a limitare le pretese esorbitanti di un legislatore, come è accaduto in America. La rivoluzione francese aveva avuto bisogno di essere rappresentativa di una volontà generale e forte espressa attraverso la legge

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