Prova documentale

Il codice, pur non contenendo una definizione espressa di documento, ne fornisce due requisiti:

  • (positivo) per aversi documento basta che si abbia uno scritto o uno oggetto comunque idoneo a rappresentare un fatto, una persona o una cosa (art. 234 co. 1);
  • (negativo) l’oggetto rappresentato deve essere un atto compiuto fuori dal procedimento nel quale si chiede o si dispone che il documento faccia ingresso.

Al contrario, se l’oggetto rappresentato è un atto del medesimo procedimento, il codice utilizza il termine documentazione (es. verbale). Per atto del procedimento, in particolare, si intende comunemente quell’atto che persegue scopi procedimentali e che viene compiuto da uno dei soggetti legittimati.

A seguito delle riforme intervenute in materia, il quadro normativo attuale è il seguente:

  • il documento (artt. 234-243) rappresenta atti o fatti diversi da quelli compiuti nel procedimento nel quale il documento è prodotto;
  • la documentazione rappresenta atti compiuti da soggetti legittimati nel medesimo procedimento in cui la documentazione viene prodotta.

Definizione di documento

Tenendo conto delle innovazioni tecnico-scientifiche, si definisce documento la rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo analogico o digitale .

Il concetto di documento, quindi, comprende quattro elementi:

  • il fatto rappresentato, ossia tutto ciò che può essere oggetto di prova, da un fatto naturale (es. fuga di gas) ad un atto umano (es. dichiarazione);
  • la rappresentazione, ossia la riproduzione di un fatto attraverso varie modalità (es. parole, suoni) che possono avvenire per opera dell’uomo (es. testimonianza) o automaticamente (es. registratore).
  • l’incorporamento, ossia la fissazione della rappresentazione su di una base materiale. L’art. 234 co. 1, oltre a prevedere alcune forme di incorporamento (es. scrittura, fotografia), lascia la possibilità che esso avvenga con qualsiasi altro mezzo .

Attualmente possiamo affermare che i mezzi di incorporamento sono due:

  • il metodo analogico (documento tradizionale), attraverso il quale la rappresentazione viene fissata su di una base materiale mediante grandezze fisiche variabili con continuità;
  • il metodo digitale (documento informatico), attraverso il quale la rappresentazione viene incorporata su di una base materiale mediante grandezze fisiche variabili con discontinuità. Il dato che contiene informazioni, in particolare, è composto dalla sequenza di bit. L’incorporamento digitale ha la fondamentale caratteristica di essere immateriale: la rappresentazione, infatti, esiste indifferentemente dalla scelta del tipo di supporto fisico sul quale il dato informatico è incorporato (es. hard disk);
  • la base materiale, ossia l’elemento sul quale viene incorporata la rappresentazione (es. carta, nastro magnetico).

Valore probatorio del documento contenente dichiarazioni

Dopo l’entrata in vigore del codice del 1988, parte della dottrina riteneva non utilizzabile come prova del fatto storico il documento contenente una narrazione del medesimo. La Corte costituzionale, tuttavia, ha precisato che l’art. 234 non distingue tra rappresentazione dei fatti e rappresentazione di dichiarazioni (sent. n. 142 del 1992).

Attualmente, quindi, l’unico limite di diritto positivo è rinvenibile nell’art. 111 co. 4 Cost., in base al quale la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore (diritto dell’imputato a confrontarsi con l’accusatore).

Documento anonimo

La prova documentale può essere valutata dal giudice nella sua attendibilità soltanto qualora ne sia noto l’autore: ad esso, infatti, chiamato a deporre, possono essere rivolte le domande che servono a valutarne la credibilità. Una verifica del genere, tuttavia, non può chiaramente avvenire quando l’autore del documento risulti essere ignoto.

Relativamente a questa problematica, il codice distingue implicitamente tra due ipotesi:

  • il documento che contiene una dichiarazione anonima non può essere inutilizzato (es. lettera anonima) (art. 240 co. 1);
  • il documento che contiene una rappresentazione anonima diversa dalla dichiarazione può essere utilizzato (es. foto anonima).

Se poi siamo di fronte ad un cosiddetto documento misto, si ritiene che esso sia utilizzabile in quella parte di rappresentazione che non consiste in una dichiarazione.

Il codice prevede che il documento possa essere sottoposto alle parti private o ai testimoni se occorre verificarne la provenienza (art. 239). Da tale articolo è possibile ricavare che il codice considera anonima quella rappresentazione della quale non è identificabile l’autore. L’assenza della sottoscrizione o la sottoscrizione illeggibile, tuttavia, danno luogo a documenti solo formalmente anonimi: se vi è riconoscimento, infatti, la documento non è più sostanzialmente anonimo.

Diverso è il problema del valore probatorio che si deve dare alla dichiarazione non sottoscritta il cui autore sia stato comunque identificato. La mancata sottoscrizione col proprio nome dimostra che l’autore non ha voluto impegnare la propria responsabilità nel fare una determinata dichiarazione. Il problema che si pone, quindi, non è quello dell’utilizzabilità del documento, quanto piuttosto quello della credibilità della fonte e dell’attendibilità della dichiarazione.

Dichiarazioni anonime utilizzabili

Il codice prevede due eccezioni al divieto di utilizzare il documento contenente dichiarazioni anonime (art. 240 co. 1):

  • che il documento costituisca il corpo del reato, applicazione dell’art. 235, in forza del quale i documenti che costituiscono corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga .
  • che provenga comunque dall’imputato, restando tuttavia da chiarire se la norma richieda;
    • che l’imputato sia l’autore della dichiarazione;
    • che l’imputato sia colui che presenta il documento nel procedimento penale.

Se si richiedesse che l’imputato fosse l’autore della dichiarazione, tuttavia, la previsione dell’eccezione dell’art. 240 co. 1 sarebbe inutile (interpretatio abrogans): quando si accerta che l’imputato è autore della dichiarazione anonima, infatti, questa cessa di essere tale. Perché l’art. 240 co. 1 continui ad avere un senso, quindi, occorre che lo si interpreti nel secondo modo.

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