All’interno della Costituzione sono molti i riferimenti alla possibilità di ricorso, anche per atti amministrativi, alla via giurisdizionale (es. art. 24 – 103 – 111 – 113 – 125).

Prima del 1865 esistevano speciali tribunali amministrativi, che venivano inseriti in quel sistema chiamato contenzioso amministrativo . Proprio in questa data tuttavia fu abolito tale sistema e tutti i ricorsi in via giurisdizionale riguardanti atti amministrativi furono trasferiti nelle mani della giurisdizione ordinaria. Nel 1889 fu creata la prima delle tre sezioni con competenze giurisdizionali del Consiglio di Stato, nel 1907 ne fu creata una seconda, che avesse compiti di giurisdizione non solo di legittimità ma anche di merito, e infine nel 1923 fu creata l’ultima, con il compito di tutelare sia i diritti che gli interessi.

La norma chiave che definisce i caratteri principali del ricorso all’autorità giudiziaria per questo tipo di controversie risale al 1865 e mette in evidenza almeno tre dei quattro principi fondamentali in materia:

  • l’atto amministrativo deve violare un diritto soggettivo, motivo per cui chi agisce deve portare al giudice la sua causa petendi, dimostrando che non si tratta della lesione di un interesse legittimo o di un diritto affievolito.
  • i tribunali non possono in alcun modo revocare o modificare l’atto, anche qualora si pronuncino a favore dell’attore, ma possono solamente dichiarare la sua illegittimità e disapprovarlo.
  • il punto precedente non vieta tuttavia a chi si vede riconosciuto il diritto in sede giurisdizionale di procedere anche attraverso un ricorso amministrativo, che peraltrola P.A.è obbligata ad accogliere.
  • (non espresso nella legge del 1865) il tribunale ordinario può condannarela P.A.al risarcimento dei danni nei confronti del privato, o comunque al pagamento di una somma a titolo di indennità.
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