Si è soliti considerare gli interessi quale parte accessoria di una obbligazione principale di denaro. Essi costituisco il corso del decorso del tempo riferito alla disponibilità di una somma di denaro.

L’obbligazione di interessi è la forma che assume la dissociazione che può venire a crearsi tra proprietà e godimento del denaro. Essa può essere l’effetto di un godimento concordato di somme ma anche alla detenzione illegittima di esse, come ha luogo nell’indebito (2033). Anche nel pagamento ritardato di somme vi è tale dissociazione poiché il debitore, in realtà, trattiene somme dovute al creditore (1224). La stessa ratio opera a carico del mandatario che non restituisce puntualmente le somme riscosse per conto del mandante o a carico di quest’ultimo per le somme dovute al mandatario.

Del ricorso all’obbligazione invece non c’è in fondo bisogno quando forme di appartenenza e di godimento si riuniscono nello stesso soggetto, come accade nel capitale gravato da usufrutto. In tal caso l’usufruttuario fa suoi gli interessi del capitale in base ad una regola di appartenenza. La letteratura è solita distinguere tra interessi corrispettivi, moratori e compensativi. Alla base vi sarebbe una differenza di funzioni. L’interesse è corrispettivo quando esso costituisce il naturale compenso per l’uso del capitale. Esso è invece moratorio quando tende a risarcire il danno da ritardo nel pagamento subìto dal creditore.

L’interesse compensativo è invece di incerta definizione: la norma di legge ha riguardo, nel caso della vendita, alla condizione di venditore, che pur avendo consegnato cosa fruttifera al compratore, non può ancora riscuotere il prezzo perché inesigibile (1499).sicuramente l’interesse compensativo sembra prescindere dalla mora e dalla scadenza del debito. La distinzione tra i debiti di valuta e debiti di valore costituisce altro dei punti topici che alimentano da tempo la tematica delle obbligazioni pecuniarie. Alla distinzione si rimprovera di costituire una singolarità del diritto italiano, che non trova equivalenti negli altri sistemi giuridici.

Il principale rilievo è che i problemi che la distinzione intende risolvere possono essere tranquillamente risolti anche in altro modo. Tra i debiti di valore tradizionalmente si collocano quelli di risarcimento da fatto illecito e da inadempimento contrattuale, il rimborso di somme per miglioramenti o spese effettuate in ordine a cose nonché i debiti di arricchimento. I debiti ex negotio vengono invece solitamente annoverati tra quelli di valuta e tali sono anche quelli che derivano da negozio annullato, rescisso o risolto. I debiti assicurativi sono divisi tra l’una e l’altra categoria; nell’assicurazione della responsabilità civile è apparsa prevalente la considerazione della natura contrattuale del debito dell’assicuratore, anche con effetti verso il terzo danneggiato, nell’assicurazione contro danni si ripropone invece la dissociazione tra la valutazione del danno all’epoca del sinistro e la sua liquidazione in denaro.

Tra le conseguenze negative dell’adozione dei debiti di valore si denuncia il cumulo tra la svalutazione e gli interessi, tranquillamente applicato dalla giurisprudenza in materia di risarcimento dei danni, e che induce, secondo taluno, ad ipotizzare un doppio lucro di cui goderebbe il creditore danneggiato. Di tale lucro non può giovarsi invece il creditore di valuta, il quale ha l’onere di dimostrare il maggior danno da svalutazione (1224 comma 2) e comunque questo danno non si cumula ma si integra con quello coperto dagli interessi.

A colmare il divario, con riguardo ai crediti di retribuzione, ha provveduto la legge con l’art. 429 comma 3 c.p.c.. Il vero è che l’appunto critico rivolto alla categoria del debito di valore è di essere inconsistente, di non avere cioè la sostanza di una obbligazione pecuniaria. La valutazione dunque in denaro del danno e quindi la qualificazione della somma dovuta non possono che avere luogo che nel momento della liquidazione di esso ad opera del giudice.

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