Talvolta, il soggetto non è libero di contrarre ma vi è obbligato o dalla legge o dalla stessa volontà privata (es. Contratto preliminare).

L’obbligo legale di contrarre è l’obbligo che ha la sua fonte della legge, esso si distingue dunque rispetto all’obbligo negoziale che ha la sua fonte in un impegno negoziale del soggetto.

Logico legale di contrarre si ha quando un soggetto, di regola un imprenditore, è vincolato dalla legge a stipulare un contratto.

Ciò non si pone in contrasto con il principio dell’autonomia contrattuale, anzi si armonizza con esso, infatti, sia pur vincolato il soggetto è pur sempre chiamato ad esprimere il proprio consenso in ordine alla formazione dei contratto.

L’obbligo legale rappresenta, invece, una limitazione autoritaria della libertà contrattuale. L’ammissibilità di tale limitazione trova il suo fondamento normativo dell’articolo 41 secondo comma della costituzione, in forza del quale l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da danneggiare la sicurezza, la libertà e la dignità umana.

La disposizione costituzionale è stata interpretata sostenendo che essa è diretta “alla tutela dell’utente e del consumatore nei confronti dell’esercizio abusivo del proprio potere da parte del soggetto monopolista”. Ne consegue allora che la libertà contrattuale è limitata dal superiore interesse dell’utilità sociale.

Il nostro ordinamento offre diversi esempi di obbligo legale di contrarre: es. il caso di un’impresa sia opera in condizioni di monopolio legale (art. 2597) o nel caso di imprese di trasporto che esercitano servizi pubblici di linea (art.1679).

Ad esempio l’art. 2597 codice civile statuisce che “chi esercita un’impresa in condizioni di monopolio legale ha l’obbligo di contrarre con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa, osservando la parità di trattamento”. La norma trova una sua giustificazione nella relazione al codice civile, nella quale viene specificato che la revisione dell’obbligo a contrarre sancita nell’articolo in discorso si impone a difesa del consumatore come necessario temperamento a soppressione della concorrenza.

L’art. 1679 cod. civ. si ferisce invece alle imprese di trasporto che esercitano pubblici servizi di linea. La norma non va interpretata come semplice applicazione dell’articolo
2597, purché la sua ratio si ravvisa non nella mancanza di concorrenza, ma nell’organizzazione in pubblico servizio dell’attività di trasporto.

Quindi, le due disposizioni devono essere lette congiuntamente, in quanto attribuiscono al privato un diritto soggettivo ad ottenere la prestazione dai soggetti obbligati.

Da queste norme si evince che il contenuto dell’obbligo a contrarre, non si sostanzia soltanto nel dovere di concludere un contratto ma implica anche la garanzia della parità di trattamento per gli utenti.

Si discute se la disciplina prevista dal codice possa essere applicata anche nei confronti delle imprese che operano in regime di Monopolio di fatto.

Per potere identificare la nozione di monopolio di fatto, occorre preventivamente capire cosa si intenda per impresa in condizioni di monopolio legale.

Sostanzialmente, si ha monopolio legale solo quando una disposizione legislativa prevede in modo espresso, per un soggetto, una riserva di mercato.

Monopolio di fatto si quando sussistono all’interno del mercato posizioni di preminenza di un’impresa dovute non già ad una regolamentazione normativa ma a regole del mercato stesso che determinano, in favore dell’impresa, una situazione di esclusività nel settore.

Per poter dare una risposta compiuta all’interrogativo cioè se la disciplina prevista dal codice civile all’articolo 2597 possa essere applicata in via analogica alle ipotesi di monopolio di fatto, occorre prendere le mosse dalla ratio della norma. Il fondamento di essa va individuato nella tutela degli interessi dei consumatori pregiudicati dalla soppressione della concorrenza la quale fa venir meno la certezza di fatto di vedere accolta ogni domanda.

Secondo la giurisprudenza e la prevalente dottrina non si può applicare analogicamente all’articolo 2597 al monopolio di fatto proprio in virtù delle fatto che si tratta di una norma dettata proprio per il caso di monopolio legale (si tratta dunque di una norma eccezionale).

Secondo un’altra tesi, invece, è possibile applicare analogicamente l’articolo 2597: quest’opinione prende le mosse dalla negazione dell’eccezionalità della norma ed arriva da affermare che la stessa (letta congiuntamente all’articolo 41 della costituzione e all’articolo 86 del trattato CEE) va considerata norma attuativa di principi generali dell’ordinamento. L’applicazione analogica viene
giustificata con la necessità di apprestare eguale tutela al consumatore rispetto sia al monopolista legale sia a quello di fatto. Si ritiene quindi che l’applicazione analogica dell’art. 2597 sia da un conforme alla ratio della norma e dall’altro frutto di un’interpretazione estensiva della norma.

Il Bianca ritiene non ammissibile un’estensione analogica della norma per l’eccezionalità dell’obbligo legale di contrarre, per il fatto che una situazione di monopolio legale non è equiparabile ad una situazione di monopolio di fatto e per il fatto che una soluzione positiva comunque avrebbe scarsa incidenza data la rarità di Monopoli di fatto e piuttosto la ricorrenza di oligopoli.

Comunque, in generale l’imprenditore ha normalmente interesse a contrattare e che il rifiuto è un’ipotesi eccezionale. La dottrina ha individuato alcune ipotesi in cui il rifiuto appare illecito: boicottaggio commerciale, discriminazione ideologica o sociale.

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