Sin da quando il denaro è venuto distaccandosi dal mondo delle merci ed è venuto sempre più acquisendo il valore di segno o simbolo di un astratto potere di acquisto, si è posto il problema del valore da attribuire alle somme offerte in pagamento, se quello recato nominalmente dalla somma dovuta o il valore effettivo risultante dal suo potere di acquisto riguardato al tempo del contratto o al tempo dello scioglimento. Si sono così contrapposte nel tempo dottrine “nominalistiche” e “valoristiche”. Alla stregua del primo indirizzo, l’affermazione del principio nominalistico può assumere l’aspetto di una vera e propria dottrina ossia di una concezione di denaro tendente a dissociare lo stesso dal suo contenuto metallico per ancorarne il valore al puro nomen. Trattasi di un predicato, quello nominalistico, derivante dalla filosofia scolastica e contrapposto a quello realistico. È stato altresì riferito il principio nominalistico alla teoria statuale della moneta, giacché, in una circolazione monetaria manovrata e controllata dallo stato, non potrebbe non prevalere una considerazione nominalistica di essa.

Ma si è obbiettato che una teoria “societaria” può essere compatibile con il principio nominalistico, ove si tenga presente che la stessa concezione della moneta come ideal unit è il prodotto di un processo avente origini psicologiche e che si svolge a livello della società. Alla stregua invece dell’indirizzo tendente a privilegiare i problemi dei debiti di denaro l’alternativa diventa corposa e concreta, risolvendosi nel problema della determinazione della somma di denaro che il debitore deve offrire in pagamento e dovendosi dunque decidere se bisogna avere riguardo al valore di scambio della moneta ossia al potere di acquisto di essa e quindi alle oscillazioni che essa può subire nel corso del tempo ovvero, e in alternativa, al valore nominale da essa portato e che si assume costante tra il tempo del contratto e quello del pagamento.

Venendo all’alternativa tra valorismo e nominalismo, contro l’adozione di un principio valoristico nei debiti di denaro si possono addurre argomenti diversi. Il giurista sarà più sensibile a quell’argomento che fa riferimento alle origini incerte e molteplici delle oscillazioni monetarie, dandosi la possibilità che tali oscillazioni siano da porre in relazione con un fenomeno di generale aumento dei prezzi di beni o servizi oppure, in alternativa, di un aumento della entità del medio circolante, attraverso l’allargamento del credito e altre forme conosciute di surriscaldamento della economia. I fenomeni di deprezzamento della moneta hanno origini più complesse, spesso non sono riconducibili a politiche ben definite, rendendo dunque estremamente difficile anche stabilire la misura della modificazione dell’ammontare nominale dei debiti.

Esemplare può considerarsi il fenomeno di deprezzamento del dollaro nel 1939. Nessuno è mai riuscito a capire quali fossero le cause immediate di tale deprezzamento e non prospettandosi dunque neanche lontanamente l’idea che un creditore del 1938 potesse pretendere una maggiore quantità di dollari per il periodo successivo al 1939. Un più generale favore va dunque al principio nominalistico, quale principio che è l’unico compatibile con il modo di produzione capitalistico, e in difetto del quale le contrattazioni si svolgerebbero all’insegna della incertezza e della confusione.

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