L’art. 833 c.c. (Atti d’emulazione) dispone: il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri. Autorevole dottrina ha ritenuto che la norma rivesta una notevole rilevanza teorica perché rappresenta il momento di emersione di un principio generale che funge da limite all’esercizio abusivo di qualsiasi situazione giuridica. Va ricordato che la cd. teoria dell’abuso del diritto non ha riscosso unanimità di consensi nella nostra dottrina: infatti è ricorrente l’affermazione secondo cui ove c’è diritto non può esserci abuso, casomai eccesso.

L’articolo in questione indica gli elementi costitutivi dell’atto emulativo nell’assenza di interesse (o scopo) del proprietario (elemento oggettivo) e nella volontà di questi di nuocere o recare molestia ad altri (elemento soggettivo). Oggetto dell’esistenza dell’animus nocendi sarà la dimostrazione che non esiste alcun interesse del proprietario ad agire in quel determinato modo. Più complesso resta stabilire se un interesse minimo del proprietario possa dar vita ad un atto emulativo. Per esempio ricorrerà l’atto emulativo nel caso in cui il proprietario recida una vena di acqua sotterranea che alimenta il fondo del vicino senza aver interesse alla captazione, mentre sarà difficile parlare di atto emulativo nel caso in cui il proprietario recida la vena di acqua per alimentare ai soli fini estetici la fontana della sua villa.

Pur essendo dettato in tema di proprietà, si sostiene che l’art. 833 c.c. copra certamente l’intera sfera dei diritti reali. E’ da pensare che la norma riguardi ogni forma di godimento e di utilizzazione del bene e quindi anche i diritti personali di godimento (locazione, affitto, comodato etc.) in quanto appare logico e coerente che, ad esempio, l’affittuario non può usare del bene in misura più ampia di quanto lo possa usare il proprietario.

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