Per il processo amministrativo assumono una rilevanza decisiva gli artt. 24, 111 co. 2 e 113 Cost., fondamentali anche per la tutela giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione. L’art 24 co. 1 garantisce il diritto di azione, configurando tale diritto con riferimento alla tutela di diritti soggettivi e di interessi legittimi ( tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi ed interessi legittimi ). Questa garanzia, peraltro, è estesa e precisata nell’art. 24 co. 2 rispetto al diritto di difesa. La norma costituzionale in esame ha posto tuttavia una serie di problemi:

  • il rango costituzionale del principio secondo cui la tutela giurisdizione si articola in tutela dei diritti soggettivi e tutela degli interessi legittimi impone una necessaria coordinazione tra i due ordini di tutele, dato che la loro sommatoria deve essere in grado di assicurare la tutela di tutte le situazioni giuridiche soggettive;
  • la collocazione sullo stesso piano dei diritti soggetti e degli interessi legittimi ha fatto sorgere la convinzione che la Costituzione interpretasse l’interesse legittimo come una posizione qualificata di carattere sostanziale (non processuale), proprio perché anche il diritto soggettivo è una posizione di carattere sostanziale. Secondo buona parte della dottrina, tuttavia, per quanto l’interpretazione dell’interesse legittimo come posizione di carattere sostanziale sia da condividere, essa non viene imposta dalla norma costituzionale.

I principi desumibile dall’art. 24 hanno sempre avuto una rilevanza particolare, dato che a tale articolo viene ricondotto il criterio dell’effettività della tutela giurisdizionale. Sulla base dell’art. 24, peraltro, occorre considerare alcuni interventi della Corte costituzionale:

  • principio di effettività della tutela giurisdizionale rispetto alla tutela cautelare: la garanzia del diritto di azione comporta la necessità che sia assicurata la possibilità non solo di tutelarsi nei confronti dell’amministrazione attraverso l’impugnazione di provvedimenti, ma anche di chiedere al giudice amministrativo misure cautelari, utili ad evitare che la durata del giudizio produca un danno irreparabile all’interesse del ricorrente. Al riguardo, la Corte costituzionale, solo per citare un esempio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale ex art. 24 dell’art. 13 co. 3 della l. n. 865 del 1971 che ammetteva la tutela cautelare nei confronti delle dichiarazioni di pubblica utilità solo in presenza di errore dell’identificazione dei proprietari, evidentemente limitando il diritto alla tutela giurisdizionale (sent. n. 284 del 1974). In tale sentenza, in particolare, la Corte dichiarò che la possibilità di sospendere il provvedimento impugnato costituiva una componente intrinseca della tutela giurisdizionale;
  • principio di effettività della tutela giurisdizionale rispetto al pubblico impiego: in questa materia la Corte costituzionale ha considerato l’esigenza di assicurare per i pubblici dipendenti una tutela equipollente a quella ammessa ai dipendenti con rapporto di lavoro privato. La Corte, al riguardo, con la sent. n. 146 del 1987 dichiarò illegittimo ex art. 24 Cost. l’art. 44 del TU del Consiglio di Stato che nelle controversie in materia di pubblico impiego non consentiva al giudice amministrativo di disporre dei mezzi istruttori contemplati per il processo del lavoro;
  • principio di effettività della tutela giurisdizionale rispetto alla giurisdizione condizionata e suoi limiti: in alcuni casi, definiti appunto di giurisdizione condizionata, l’accesso alla tutela giurisdizionale risulta subordinata al previo esperimento di un ricorso amministrativo. In materia una prima giurisprudenza della Corte affermò che l’art. 24 Cost. non avrebbe contemplato tra i contenuti del diritto di azione anche il diritto all’immediatezza della stessa. L’illegittimità, in sostanza, era configurata solo quando l’assoggettamento del ricorso amministrativo a termini brevi di decadenze risultasse incompatibile con la natura del diritto vantato dal cittadino. A partire dalla fine degli anni Ottanta, al contrario, la Corte costituzionale ha cominciato a considerare con severità le disposizioni che condizionavano l’ammissibilità della tutela giurisdizionale all’esperimento di un ricorso amministrativo, considerandole incompatibili con l’art. 24. Dai principi costituzionali, comunque, emerge che la possibilità di un accesso immediato al giudice rappresenta un principio generale ma non assoluto, dal momento che deroghe ad esso sono possibile, a patto che rispondano a condizioni precise. Il rimedio amministrativo, in particolare, dovrebbe condizionare l’esercizio del diritto di azione solo nei termini di mera procedibilità: il giudice, infatti, se verifica che non sia stato proposto il ricorso amministrativo richiesto dalla legge, deve sospendere il giudizio assegnando all’attore un termine per presentare tale ricorso, ma non può decidere la controversia respingendo la domanda;
  • principio di effettività della tutela giurisdizionale rispetto ai diritti soggettivi subordinata al previo espletamento di un procedimento amministrativo: in passato era previsto che la pretesa del cittadino all’indennità potesse essere azionata in sede giurisdizionale solo dopo la determinazione dell’indennità a livello amministrativo. La Corte costituzionale, tuttavia, dal momento che la legge non garantisce un sollecito espletamento del procedimento amministrativo di determinazione dell’indennità, ha recentemente affermato che tali disposizioni sono incompatibili con l’art. 24 Cost.;
  • illegittimità dell’arbitrato obbligatorio: sebbene in passato la Corte di cassazione escludesse la possibilità per le parti di rimettere ad arbitrato le vertenze devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a partire dalla sent. n. 205 del 2000 è stato previsto che anche tali vertenze possono essere risolte mediante arbitrato. Il codice di procedura civile prevede che la devoluzione ad arbitri di una controversia richieda un accordo tra le parti (clausola compromissoria). Alcune leggi speciali, tuttavia, hanno talvolta previsto forme di arbitrato obbligatorio. La Corte costituzionale, sulla base dell’art. 24, ha ritenuto illegittime tali disposizioni, rilevando che, in base ai principi costituzionali, l’esclusione della competenza del giudice può trovare fondamento solo in una scelta compiuta dalle parti.

L’art. 111 Cost. stabilisce che il processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti (giusto processo). Il principio del contraddittorio si esprime in primo luogo nella regola secondo cui il giudice non può statuire sulla domanda se le parti nei cui confronti sia stata proposta non siano state regolarmente evocate a giudizio (artt. 2 e 27). Tale principio viene poi completato dalla previsione della parità processuale delle parti (art. 2), secondo cui ciascuna parte deve disporre degli stessi strumenti di tutela (diritto di difesa). Il principio del contraddittorio, comunque, non si esaurisce sul piano delle prerogative della parte resistente rispetto a quella ricorrente, rappresentando una garanzia essenziale per chiunque sia interessato dall’esercizio della funzione giurisdizionale, indipendentemente dalla sua specifica posizione processuale.

La giurisprudenza amministrativa ha spesso invocato il principio del contraddittorio anche a favore del ricorrente (diritto di azione), per sostenere, ad esempio, che il cittadino deve essere posto nelle condizioni di conoscere con pienezza l’attività amministrativa che intende contestare in giudizio (es. accesso agli atti amministrativi).

Il principio del contraddittorio è parso talvolta in conflitto con l’esigenza di rendere più spedito il giudizio (ragionevole durata ex art. 111 Cost.), soprattutto nelle vertenze rispetto alle quali la durata del processo può compromettere interessi pubblici molto importanti. Il bilanciamento tra garanzia del contraddittorio e obiettivo di celerità, tuttavia, non risulta sempre di facile attuazione. Il legislatore è quindi intervenuto in vari modi, prevedendo speciali riti accelerati e ammettendo in alcuni casi di anticipare la decisione del ricorso. La Corte non ha ritenuto illegittime queste previsioni (sent. n. 427 del 1999), sebbene abbia sottolineato che il giudice non può adottare una decisione accelerata se le parti abbiano richiesto di svolgere ulteriori attività processuali che risultino obiettivamente rilevanti per il giudizio. Per quanto la celerità nella definizione del giudizio sia un principio fondamentale, quindi, esso non può portare al sacrificio dei contenuti fondamentali della tutela giurisdizionale.

L’art. 113 detta una serie di regole che attengono alla tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Tale articolo sottolinea che la circostanza che un’amministrazione sia parte in causa non può giustificare limitazioni alle possibilità di tutela giurisdizionale del cittadino. Deve quindi essere esclusa qualsiasi privilegio processuale a favore dell’amministrazione:

  • l’art. 113 co. 1 stabilisce che contro gli atti della pubblica amministrazione la tutela giurisdizionale è sempre ammessa , non potendo essere limitata neppure in situazioni particolari (es. detenzione). La norma costituzionale, peraltro, precisa che la garanzia della tutela giurisdizionale contro gli atti dell’amministrazione vale sia per i diritti soggettivi che per gli interessi legittimi;
  • l’art. 113 co. 2 impedisce di circoscrivere i margini della tutela giurisdizionale in relazione alla tipologia degli atti amministrativi impugnati e alla tipologia dei vizi fatti valere, ferma restando l’impossibilità assoluta di sindacare gli atti politici, risultato dell’esercizio di un potere diverso da quello amministrativo (interpretazione restrittiva di atti politici );
  • l’art. 113 co. 3 rinvia alla legge per l’individuazione dei giudici competenti ad annullare gli atti amministrativi. Dal momento che tale norma non prevede una riserva costituzionale a favore del giudice amministrativo del potere di annullamento degli atti amministrativi, non possono essere ritenute illegittime quelle disposizioni di legge che conferiscono al giudice ordinario il medesimo potere. La norma costituzionale, comunque, esclude implicitamente che il potere di annullamento degli atti debba ritenersi un corollario necessario di qualsiasi potestà giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione. Mentre al giudice è sempre garantito il potere di sindacare la legittimità dell’atto amministrativo, quindi, non è automatico che tale sindacato debba risolversi in un potere di annullamento.
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