L’origine della giurisdizione amministrativa, così come oggi lo conosciamo, trova paradossalmente la sua fonte nella LAC. Questa legge, infatti, dispose la soppressione dei Tribunali del contenzioso amministrativo in precedenza esistenti, con l’intento di creare una giurisdizione unica in capo al GIUDICE ORDINARIO

La norma, però, garantiva una tutela giurisdizionale piena unicamente ai diritti soggettivi, ma lasciava fuori numerose controversie contro la P.A., che potevano essere risolte solo attraverso lo strumento dei ricorsi amministrativi.

Fu proprio la soppressione dei tribunali del contenzioso amministrativo che mostrò come fosse grave la lacuna di tutela che si era aperta in relazione le situazioni di privati che non avessero la dignità di diritti soggettivi. Il giudice ordinario escludeva la propria giurisdizione nei casi in cui il comportamento del soggetto pubblico coinvolgesse in qualche modo le funzioni amministrative, ritenendo che ciò fosse sufficiente a determinare l’estinzione del diritto soggettivo.

Lo schema della LAC, quindi, entra in crisi piuttosto rapidamente per una pluralità di questioni. La ragione fondamentale è la progressiva estensione del controllo da parte della P.A. sulle attività dei cittadini e il peso delle teorie che attribuiscono al provvedimento amministrativo un ruolo predominante, di sopraffazione e travolgimento dei diritti soggettivi: si tratta della teoria della degradazione e attività materiale della P.A.

Il combinarsi di questi elementi fa sì che si moltiplichi l’intervento dell’amministrazione oggettivamente lesivo del diritto soggettivo che abilita il cittadino a rivolgersi al GIUDICE ORDINARIO

La situazione che si viene a verificare perciò è paradossale: l’amministrazione viene ad essere più libera di quanto in ipotesi non fosse prima della legge del 1865 e il cittadino viene a trovarsi in condizione di minor tutela di quanto non fosse allorché vi era il contenzioso amministrativo.

Viene a costituirsi, quindi, la IV sezione del Consiglio di Stato, sorta in funzione del sindacato dell’azione amministrativa in vista del solo interesse pubblico: in tale contesto non emergeva in modo netto la contrapposizione tra interesse pubblico e interesse della parte privata e il Consiglio di Stato non assumeva la posizione di soggetto imparziale e terzo rispetto ad un conflitto di interessi.

L’implicazione pratica fu che gli organi della giurisdizione ordinaria vennero privati di tutte le controversie ove ricorreva un sindacato sull’operato della P.A. come autorità: si verifica una involuzione rispetto alla LAC perché il potere della P.A. poteva essere sindacato solo dalla stessa P.A. attraverso un proprio organo: la IV sezione del Consiglio di Stato.

Il legislatore riconobbe alla IV sezione la natura di organo giurisdizionale, non precludendo, come al GIUDICE ORDINARIO, il potere di annullare gli atti amministrativi o di sindacarne, in casi eccezionali, il merito, l’opportunità, la convenienza.

Molti dubbi, però, si affacciarono in ordine alla natura giurisdizionale della IV sezione: il processo non è un processo di parti, ma si trattava di un meccanismo volto a tutelare l’interesse pubblico, nell’ambito del quale il compito del privato era quello di richiedere l’intervento del Consiglio di Stato per la tutela di interessi differenti da quelli di cui il privato stesso portatore.

Il giudizio, poi, era una continuazione dell’azione amministrativa, sia pure contenziosa, e interveniva dopo che il fatto era già stato valutato dall’amministrazione in vista dell’emanazione dell’atto e la legittimazione dell’azione vagliata con ricorso gerarchico, sicché era sufficiente:

– una ridotta attività istruttoria che non si estendeva al fatto

– una scarsa trattazione delle questioni tra le parti

Il giudizio, anche dopo il riconoscimento della sua natura giurisdizionale, rimaneva comunque ispirato al modello cassatorio o impugnatorio perché segnato dalla impugnazione di un provvedimento amministrativo.

Basandosi poi sull’assunto che “annullare un atto amministrativo equivale ad amministrare” si mantenne il divieto posto al GIUDICE ORDINARIO, condannandolo ad una sostanziale impotenza.

Le conseguenze furono drammatiche:

  1. la titolarità dei diritti soggettivi implicava l’esistenza di un rapporto tra soggetti posti sullo stesso piano davanti alla legge ed al giudice
  2. nell’interesse legittimo, invece, non esiste rapporto e non esiste parità: l’amministrazione è in una posizione di supremazia, si manifesta come autorità, le cui esigenze , sotto il manto del pubblico interesse, prevalgono e comprimono sempre il diritto del privato, degradandolo ad interesse legittimo.

In un quadro di questo tipo l’azione della P.A. è unilaterale, il cittadino è semplice destinatario di essa. L’assenza di rapporto e di diritti implica poi la negazione dell’accesso agli atti dell’amministrazione; l’azione della P.A. è segreta. Tra cittadino e amministrazione c’è separatezza; il privato non ha la facoltà di interloquire con l’autorità nella fase antecedente la formazione del provvedimento amministrativo.

Nonostante la qualificazione di “organi giurisdizionali” da parte della legge del 1907, infatti, ancora oggi, se noi notiamo, le determinazioni del Consiglio Stato non sono denominate “sentenze” ma “decisioni”, proprio perché seguendo l’antica tradizione tali decisioni non potevano, provenendo da un organo nato espressamente come “amministrativo”, qualificarsi come “sentenze”. Ancora oggi, quindi, vi è memoria dell’originaria natura amministrativa della IV sezione.

L’evoluzione del sistema, quindi, è andata in una direzione particolare; il nostro sistema istituzionale si è orientato in un modo che non tutti possono condividere: ossia quello di ricondurre nell’ambito dell’amministrazione le questioni di giustizia coinvolgenti la P.A.

Un ordinamento ancorato ai principi dello stato di diritto, tuttavia, dovrebbe garantire che tutte le controversie – anche quelle nascenti nei confronti dell’amministrazione – confluiscano nell’ambito degli organi cui l’ordinamento riconosce esclusivamente una funzione giurisdizionale.

Un organo in parte amministrativo (nelle prime tre sezioni) e in parte giurisdizionale (nelle ultime tre) risulta essere alquanto criticabile. In un ordinamento democratico serio, i giudici dovrebbero fare solo i giudici e gli amministratori solo gli amministratori, perché questa commistione da un punto di vista istituzionale non può certo ritenersi positiva perché compromette il principio della terzietà ed imparzialità che contraddistingue la figura del giudice. Il nostro ordinamento non è ancora arrivato ad un punto di coerenza assoluto.

Oggi, la Costituzione vigente sui rapporti tra cittadini e P.A. ha apparentemente costituzionalizzato, pur con qualche innovazione, i principi sedimentati nell’epoca precedente. In realtà aver codificato ed elevato al rango di disciplina costituzionale questi principi, unitamente all’aggiunta di alcuni importanti correttivi, ispirati al criterio di una più piena garanzia delle posizioni giuridiche soggettive, ha dato una valenza giuridica profondamente diversa al vecchio impianto.

Esiste innanzitutto una linea di continuità con la vecchia disciplina. In ben due disposizioni viene costituzionalizza la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi:

  • Art. 24 Cost, 1° comma: Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi;
  • Art. 113 Cost, 1° comma: Contro gli atti della P.A. è sempre ammessa tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

Da quest’ultimo inciso si desume che alla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi si fa corrispondere quella tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, la cui permanenza è assicurata:

a) dall’art. 100 Cost. : Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione;

b) ed ancor di più dall’art. 103, comma 1°: Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della P.A. degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.

c) Art. 113, u.c.: giustifica il divieto di annullamento degli atti amministrativi da parte del GIUDICE ORDINARIO, disponendo: La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della P.A. nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

A questo punto, se è indubbio che nella materia amministrativa la Costituzione non ha il carattere rivoluzionario che presenta in altre parti, avanzando piuttosto un’esigenza di continuità, consolidamento e razionalizzazione del precedente sistema, è certo, tuttavia che concorre a dare una coloritura diversa del vecchio impianto, e più che rinnovare lo spirito dei vecchi istituti, tende a ribaltarlo.

Paradossalmente, dunque, la rottura in ordine all’amministrazione e alla sua attività non sta tanto nella specifica disciplina su di esse, nella quale si coglie solo una codificazione ed una limitata innovazione, quanto nell’impostazione generale che la Carta offre sui rapporti tra cittadini e pubblici poteri, quindi nella legittimazione di questi ultimi, nella loro relazione con i cittadini e nella loro finalizzazione a sviluppare principi e a realizzare programmi che la stessa Costituzione enuncia.

Vengono innanzitutto in considerazione il principio democratico e della sovranità popolare (art. 1). La legittimazione di qualunque potere o apparato pubblico non soltanto trova oggi la propria fonte nel popolo, ma deve essere democratico il modo di svolgimento dell’attività e democratica deve essere anche la finalità di questa.

L’azione pubblica deve essere sempre rivolta a soddisfare interessi della comunità. Non esistono più un apparato ed un interesse dello Stato separati dalla comunità né interessi dello Stato e degli apparati che non siano strumentali rispetto alla comunità, né infine decisioni in cui non siano presenti elementi di democraticità.

Il funzionario non serve il governo e comanda i cittadini ma serve esclusivamente i cittadini: l’amministrazione è un servizio pubblico, non cura interessi dello Stato ma interessi dei cittadini.

Il principio democratico esige che ogni potere pubblico di scelta che residui rispetto alla legge sia controbilanciato da forme di contraddittorio, partecipazione e pubblicità.

Qualsiasi decisione adottata dalla P.A. pertanto deve apparire il frutto non più di un monologo da parte della P.A. bensì di una dialettica tra cittadino e amministrazione; il carattere della autoritarietà e della unilateralità pertanto devono oggi essere rivalutati alla luce dell’applicazione dei principi discendenti dal principio democratico.

Da una giurisdizione di diritto oggettivo, avente come fine quello di tutelare l’osservanza della legge, la giurisdizione del giudice amministrativo si è quindi progressivamente configurata come giurisdizione di tipo soggettivo, volta cioè alla tutela di situazioni sostanziali e individuali.

A conferma di ciò si ricordino i seguenti indici:

– il contraddittorio deve essere instaurato con l’amministrazione e con i contro interessati

– la parte ha la disponibilità del ricorso, potendovi rinunciare

– la morte interrompe il processo, il quale non continua in assenza di un impulso dell’interessato

– la soddisfazione dell’interesse sostanziale del ricorrente determina la cessazione della materia del contendere

Si ricordi, infine, che il sistema della doppia tutela (giudice ordinario, da un lato, e giudice amministrativo, dall’altro) discendente dalla legge del 1865 e dalla legge istitutiva della IV sez. del Consiglio di Stato è sempre fermo nel nostro paese. Il sistema della doppia giurisdizione, detto anche “doppio binario”, comporta che il GIUDICE ORDINARIO ha giurisdizione in materia di diritti soggettivi ed il G.A. per la tutela degli interessi legittimi.

Il criterio discretivo tra i due tipi di giurisdizione si fonda sulla teoria della causa petendi, secondo cui, a prescindere dalla natura del provvedimento richiesto, il criterio di differenziazione si basa sulla natura della posizione giuridica dedotta in giudizio e cioè sulla lesione rispettivamente di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo.

Questo è il sistema attualmente adottato in Italia. Infatti, la giurisprudenza dopo varie oscillazioni ha ritenuto di adottare quale criterio primario quello della causa petendi.

Ciò tuttavia, non ha risolto con chiarezza il problema della individuazione delle ipotesi in cui il privato possa lamentare la lesione di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo. La Cassazione, intervenuta nel 1949, seguendo l’impostazione della causa petendi ha precisato il criterio discretivo tra i due ordini di giurisdizioni, osservando che: tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere da parte dell’amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si ha questione di diritto soggettivo e giurisdizione del GIUDICE ORDINARIO quando si contesta la stessa esistenza del potere. Si è così realizzato il binomio:

  • Cattivo uso del potere – interesse legittimo;
  • Carenza di potere – diritto soggettivo.

La soluzione accolta dalla Cassazione si spiega in quanto:

1) Nel primo caso, sussistendo una norma di legge che attribuisce alla P.A. il potere di emanare l’atto, nel pieno rispetto del principio di legalità, si avrà solo la lesione di un interesse legittimo rappresentato dall’interesse del privato a che la P.A., nell’emanare l’atto osservi i limiti, le forme e il procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere, cattivo uso del potere, interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa;

2) Nel secondo caso, invece, l’atto amministrativo è adottato in totale assenza di potere; non vi è alcuna norma attributiva del potere e, pertanto, l’atto non è assolutamente idoneo a produrre un effetto degradatorio della posizione soggettiva privata, carenza di potere. Pertanto, la posizione del privato, a fronte di un provvedimento nullo, è di diritto soggettivo e non degrada a mero interesse legittimo, con la conseguenza che sarà possibile ottenere una tutela adeguata davanti al GIUDICE ORDINARIO

L’impostazione descritta, negando l’affievolimento nei soli casi, tutto sommato rari, di carenza in astratto del potere, ha ampliato notevolmente la sfera di cognizione del G.A.

A tale tendenza ha reagito, negli ultimi anni, parte della giurisprudenza che, con diverse pronunce, ha ritenuto che l’atto amministrativo sia inidoneo a spiegare l’effetto degradatorio, fondando così la giurisdizione del GIUDICE ORDINARIO:

  • Non solo in caso di carenza di potere in astratto, che si ha nell’ipotesi di mancanza di una norma che attribuisca alla P.A. il potere in base al quale agisce à ad es. esercizio del potere da parte di un organo appartenente ad una branca dell’amministrazione diversa da quella legittimata: il ministro della sanità adotta un atto di competenza del ministero della pubblica istruzione;
  • Ma anche in caso di carenza di potere in concreto, che si ha nelle ipotesi in cui, pur sussistendo tale norma in astratto, il potere non sussiste in concreto. Il potere non manca qui totalmente: sia pure ridotta una estrinsecazione del potere sussiste, perché in astratto esso c’è. à es. decreto di espropriazione conforme all’ordinamento ma emanato oltre il termine perentorio fissato ai sensi di legge nella dichiarazione di pubblica utilità. L’atto è posto in essere in violazione di una norma che individua un presupposto in concreto per l’esercizio del potere ablatorio in esame e la cui mancanza è preclusiva dell’esercizio stesso. Da ciò si dovrebbe concludere che la giurisdizione sulla controversia, avente ad oggetto quel decreto, spetterebbe al giudice ordinario.

Importante, poi, è stata la riforma introdotta dalla l. 205/2000, che si è mossa nel senso di un’incisiva modifica di istituti fondamentali, quali:

  1. la giurisdizione esclusiva: al punto che il giudice amministrativo tendeva a configurarsi come giudice chiamato ad occuparsi di tutte le controversie nell’ambito di una serie di importanti materie
  2. le misure cautelari
  3. l’istruttoria
  4. l’ottemperanza

La norma, inoltre, ha introdotto numerosi e rilevanti riti speciali che ampliano il ventaglio delle possibilità di tutela per il privato.

La giurisdizione di legittimità si era avvicinata a quella esclusiva in forza della estensione alla prima di alcuni istituti propri della seconda, come il potere di condanna. La Corte cost., con la sent. n. 204/2004, in ogni caso, ha introdotto un preciso limite in grado di arginare un’eccessiva estensione della giurisdizione esclusiva a opera del legislatore.

La disciplina di cui all’art. 21-octies l. 241/1990, poi, amplia notevolmente i poteri del giudice: la violazione del parametro di ragionevolezza o di una norma generale e astratta che non sia sulla competenza è solo un sintomo della illegittimità, che dipende dal fatto che il provvedimento abbia assunto un contenuto diverso da quello che avrebbe dovuto avere.

Va pure richiamata l’influenza che il diritto comunitario produce anche nel settore del processo amministrativo. Non è un caso che il codice del processo amministrativo esordisca affermando che “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo“.

Il legislatore europeo, difatti, ha fortemente influenzato il sistema italiano: si pensi alle direttive in materia di procedure di gara per appalti e forniture, all’istituto della tutela cautelare o, ancora, al principio del risarcimento a carico dello Stato membro per i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario e in particolare dal mancato recepimento di direttive.

Per ultimo, la struttura del processo sembrava destinata a mutare in modo incisivo in occasione dell’emanazione del codice del processo amministrativo. L’art. 44 l. 69/2009, infatti, ha delegato il Governo per il riordino del processo davanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato.

Il codice è stato emanato con d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104, sicché oggi nel nostro ordinamento, accanto ai tradizionali fondamentali codici civile, penale, di procedura penale, dobbiamo annoverare anche quello relativo al giudizio dinanzi al giudice amministrativo.

Nel complesso il codice ha deluso le aspettative di molti, soprattutto perché, rispetto alla prima versione redatta dal Consiglio di Stato, in sede governativa sono state stralciate quelle norme che disciplinavano l’azione di adempimento e quella di accertamento.

I principi generali ivi regolamentati possono così essere riassunti:

art. 1: principio di effettività → la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo. Quindi il giudice amministrativo, pur confrontandosi con la pubblica amministrazione, che è titolare di un potere discrezionale, che non le può essere sottratto, deve garantire al cittadino una tutela che sia adeguata rispetto alla posizione dedotta in giudizio e che corrisponda a tutte le potenzialità sostanziali che questa posizione ha;

art. 2: richiamo al principio del giusto processo (ex art. 111 Cost.) → Insieme al principio della parità delle parti ed al principio del contraddittorio deve essere applicato tenendo conto dell’esigenza di realizzare la ragionevole durata del processo;

art. 3: obbligo della motivazione per ogni provvedimento del giudice→ la norma limita questa previsione ai provvedimenti decisori. Si tratta di una scelta criticata: una interpretazione costituzionalmente orientata deve cercare di estendere il più possibile l’obbligo di motivazione;

art. 3, secondo comma: sinteticità degli atti → il giudice e le parti devono redigere gli atti in modo chiaro e sintetico.

Il conclusione, il giudice amministrativo è titolare nei confronti dell’amministrazione di varie specie di giurisdizione cioè di vari settori di competenza giurisdizionale nei quali può esercitare particolari poteri di cognizione e di decisione. Questa previsione non contrasta con quanto stabilito in Costituzione agli artt. 24, 103 e 113 laddove si afferma che la tutela nei confronti della P.A. non può essere limitata a particolari atti o a particolari vizi deducibili, in quanto tra le varie specie di giurisdizione vi è una giurisdizione di carattere generale e ve ne sono altre che a questa si aggiungono. Pluralità di giurisdizioni, pertanto, significa semplicemente arricchimento della tutela di carattere generale.

Il nuovo Codice ha quindi disciplinato la materia introducendo all’art. 7 una previsione di carattere generale in ordine all’ambito della giurisdizione amministrativa.

La disposizione attribuisce alla giurisdizione amministrativa le controversie:

– concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo

– riguardanti i provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni.

La dizione ampia corrisponde, peraltro, a quella che era già acquisita nell’ordinamento. Inoltre sempre tale norma articola la giurisdizione amministrativa in giurisdizione generale di legittimità, giurisdizione esclusiva e giurisdizione estesa al merito. Le materie di giurisdizione esclusiva sono indicate nell’art. 133 del Codice; quelle di merito nell’art. 134.

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