Nel processo meditativo sono esperibili svariate azioni, delineata dal codice a prescindere dalla tipologia di giurisdizione. A differenza del giudizio civile, ove è prevista un’azione generale, a fronte del potere amministrativo il legislatore ha scelto di tipizzare le forme di azione nella parte può proporre.

Svariate voci hanno sostenuto che, accanto alle azioni tipizzate, sarebbero ammissibili altre azioni a tutela delle posizioni delle parti: la questione concerne soprattutto il riconoscimento di un’azione di adempimento, non contemplata espressamente dal codice.

Tradizionalmente, un ruolo centrale ha rivestito l’azione di annullamento, che corrisponde all’idea di un processo in cui si faccia questione della lesione di interessi oppositivi.

La tutela offerta dal giudice consiste nella verifica della legittimità dell’azione pubblica, nei limiti dei motivi di doglianza fatti valere dal ricorrente: l’annullamento dell’atto consente normalmente di soddisfare, seppur in parte, la pretesa del cittadino.

Questa impostazione ha fatto sì che si trascurassero i diversi indici normativi contenuti nella legge istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, la quale ammetteva anche sentenze di tipo diverso, ad es. di rigetto del ricorso. La negazione di altri diversi poteri in capo al giudice amministrativo dipendeva anche dalla volontà di rispettare la sfera autonoma dell’amministrazione: la condanna avrebbe rappresentato una intrusione nell’ambito delle scelte discrezionali dell’amministrazione.

L’accertamento si sarebbe tradotto in una applicazione autoritativa del diritto al caso concreto in grado di prevalere sulla medesima operazione compiuta dall’amministrazione in sede di emanazione del provvedimento.

Lo schema delineato, ossia interesse legittimo-impugnazione dell’atto-decisione di annullamento, si adatta alle ipotesi nelle quali l’atto impugnato incida sfavorevolmente sulla sfera soggettiva del cittadino, il quale è titolare di interessi oppositivi.

Viceversa il modello è più difficilmente applicabile nelle situazioni in cui un atto da impugnare manchi, si pensi al silenzio, ovvero allorché il cittadino si ponga nei confronti dell’amministrazione come titolare di un interesse pretesivo: il mero annullamento non consente di soddisfare la sua pretesa finale, che richiede un comportamento attivo della PA.

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