L’art. 7, della legge 69/2009 (Certezza dei tempi di conclusione del procedimento) sostituendo l’art. 2 (Conclusione del procedimento) della L. 241/1990, stabilisce che:

– ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso;

– nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni;

– con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei

Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali.

Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza;

– i termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte;

– per casi eccezionali, dove sono indispensabili termini superiori a 90 giorni, tenuto conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento il Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con i Ministri della pubblica amministrazione e l’innovazione e la semplificazione normativa adotteranno uno o più decreti volti all’individuazione delle suddette tipologie ma i termini ivi previsti non potranno comunque superare i 180 giorni;

– fatto salvo quanto previsto dall’articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni;

– il ricorso contro il silenzio dell’amministrazione può essere proposto anche senza diffida, purché perduri l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento;

– le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza;

La lettera c), comma 1) del citato art. 7 della L. 69/2009 inserisce nella L. 241/1990, l’art. 2 bis (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento) il quale dispone che :

– le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento;

– le controversie relative all’applicazione dell’art. 2 bis della L. 241/1990 sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

– la prescrizione del diritto al risarcimento del danno in cinque anni;

I commi 2 e 3 del citato art. 7 prevedono che:

– Il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, adotterà le linee di indirizzo per l’attuazione del presente articolo e per i casi di grave e ripetuta inosservanza dell’obbligo di provvedere entro i termini fissati per ciascun procedimento;

– continuano ad applicarsi le disposizioni regolamentari, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, che prevedono termini non superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti;

– le disposizioni regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, che prevedono termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti, cessano di avere effetto dopo un anno dall’entrata in vigore della L. 69/2009.

La novella dispone come principio di carattere generale che la mancata emanazione del provvedimento o il mancato rispetto dei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale e di esso si terrà conto al fine della corresponsione della retribuzione di risultato.

Quindi la nuova versione della norma conferma, al comma 1, il dovere delle pubbliche amministrazioni di concludere il procedimento amministrativo con l’adozione di un provvedimento espresso.

Risulta invece “nuova” (in realtà si tratta di un ritorno al passato) la riduzione del termine generale di conclusione del procedimento, che viene da 90 a 30 giorni (come, appunto, prevedeva l’originaria disposizione prima della riforma operata con la l. n. 15/2005). Sembra utile, inoltre, rammentare che il predetto termine ha carattere sostitutivo, cioè si applica solo se per le amministrazioni interessate non sono individuati termini differenti (secondo quanto stabilito nei commi 3 e 4), comunque non superiori a 90 giorni o, eccezionalmente, eccedenti i 90 giorni (fino al massimo di 180 giorni).

La novella ha altresì introdotto un ulteriore strumento di tutela a favore del cittadino nei confronti dell’inerzia della p.a.: il nuovo art. 2 bis (“Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”) prevede, infatti, un’azione risarcitoria (esperibile innanzi al giudice amministrativo nel termine di cinque anni) per il ristoro del “danno ingiusto” (in primis, ma non esclusivamente, secondo il paradigma del c.d. “danno da ritardo”, elaborato dalla giurisprudenza7) addebitabile ai pubblici funzionari che, con dolo o colpa (grave), non hanno rispettato i termini di conclusione del procedimento.

Incomberà ovviamente sull’attore la (non facile) prova dell’ingiustizia del danno e dell’addebito per dolo o colpa grave in capo al funzionario.

Le suddette disposizioni non si applicano: 1) ai procedimenti per la concessione di contributi per i quali si applica l’art. 12 della Legge 241/1990, non modificato ; 2) agli atti di gestione finanziaria, ivi compresi atti di liquidazioni e mandati di pagamento, che avvengono nel rispetto delle norme vigenti, del regolamento di contabilità di ciascun Ente e dei vincoli imposti dal patto di stabilità.

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