All’interno della città la situazione non fu mai statica, neppure dopo il conseguimento dell’autonomia comunale.

L’impegno giurato della pace non riuscì ad impedire che si formassero, legami molto stretti di parentela e di consorteria, ma anche contrapposte fazioni.

Le difficili scelte politiche dei periodo cruciale in cui ogni città dovette scegliere tra l’alleanza col papato e quella con l’impero, negli anni di Federico I e di Alessandro III, favorirono la formazione di un partito filoimperiale e di un partito filopapale, intorno ai quali si coagularono le tensioni interne: guelfi e ghibellini si fronteggiarono nelle città italiane anche dopo che l’alternativa tra papato e impero era ormai da tempo tramontata.

all’inizio del Duecento si sia affermata nei comuni italiani la consuetudine di nominare al vertice dell’amministrazione un podestà «forestiero», cioè un magistrato origina- rio di un’altra Città che era in grado di offrire garanzie di imparzialità superiori a quelle di qualsivoglia console cittadino.

Nacque così il comune podestarile, seconda fase della storia costituzionale delle città italiane.

Il podestà veniva eletto per uno o due anni dai competenti organi collegali del comune, riceveva un congruo salario fissato per legge e giurava, all’ingresso in carica, di osservare le norme vigenti nella città, ormai raccolte nel Líber statutorum; la cittadinanza, a sua volta, gli giurava obbedienza.

Le Funzioni del podestà erano politiche, amministrative, giudiziarie. La giustizia civile era per lo più gestita da consules iustitiae, istituiti già nel XII secolo a fianco dei consoli della città, mentre la giustizia penale veniva spesso esercitata personalmente dal podestà, il quale portava con sé un gruppo di collaboratori che ne costituiva la familia. Era dunque, una carriera itinerante perché fatta di tante nomine successive, ciascuna di breve durata e in luoghi diversi. Si formarono in tal modo uomini e gruppi familiari specializzati nella gestione della cosa pubblica, spesso di formazione giuridica universitaria.

Il controllo delle decisioni giudiziarie e amministrative del podestà e degli altri magistrati cittadini era assicurato in duplice modo.

  1. Da un lato, all’interno delle giurisdizioni comunali si era introdotto il principio dell’appello, largamente applicato nel campo civile.
  2. D’altro lato, i comuni svilupparono, partendo da tenui appigli testuali antichi, l’istituto del sindacato giudiziario: al termine del periodo di carica, il podestà ed ogni altro magistrato erano tenuti a rimanere in sede per alcune settimane, dando modo a chi ne avesse motivo di avanzare le proprie rimostranze nei loro confronti. Un’apposita magistratura elettiva (i «sindacatorí») giudicava in merito ai reclami proposti contro gli atti compiuti dal podestà scaduto dalla carica. Le sanzioni erano severe.

Con l’avvento del regime podestarile, mentre permanevano fratture verticali tra opposte fazioni e tra singole famiglie «nemiche» si accentuavano i contrasti sociali tra i diversi ceti della società cittadina.

Vi era un singolare contrasto fra l’apparente saldezza della costituzione comunale e il ritmo quasi febbrile delle riforme legislative e delle mutazioni istituzionali

Le tensioni e l’armonia non costituivano, nella città (e nel diritto) del medioevo, fenomeni incompatibili.

Le famiglie di origine nobiliare, strinsero progressivamente nel Duecento i loro legami reciproci dando vita ad associazioni di natura militare, le «società delle armi».

A loro volta, negli stessi anni, i ceti mercantili e artigiani promossero collegamenti stabilì tra le diverse corporazioni (le «società delle arti»), ma anche forme di organizzazione territoriale al livello dei quartiere o della parrocchia, sino ad istituire proprie magistrature (il «capitano del popolo» i «tribuni del popolo») accanto a quelle ufficiali del comune.

Il «popolo» dei mercanti e degli artigiani accentuò così, nel corso del Duecento, la pressione politica nei confronti dei «magnati».

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