I comuni e il contado

I comuni imperniati su città vescovili aspirarono a dominare su tutto il territorio del vescovado, coincidente col comitatus carolingio, che cominciò a chiamarsi “contado”. Questi territori intermedi tra le città, di solito oggetto di grandi domini regionali erano esposti all’inglobamento nelle dominazioni cittadine. Il comune inizialmente era una sorta di rapporto feudale con questi signori. Questa specie di espansione della città favorì l’immigrazione in città, così come favorì la diffusione del capitale cittadino in campagna, sia sotto forma di acquisti di proprietà sia come anticipazioni monetarie per operazioni sui raccolti , ad es: la soccide per l’allevamento di bestiame. La liberalizzazione di persone e case nel contado voleva dire tagliare la possibilità di reclutamento militare ai signori che iniziarono a prendere casa in città. In questo periodo per contenere gli scontri sociali la legislazione , detta suntuaria, si preoccupò di contrastare l’ostentazione delle subitanee ricchezze mercantili, disciplinava anche matrimoni e funerali nei minimi dettagli.

Le lotte politiche dovute alla stratificazione sociale e alla rinnovata pressione militare dell’impero intorno al 1200 resero necessario articolare maggiormente la struttura organizzativa del comune. In questo periodo si formarono delle vere e proprie “societas” di classe rappresentanti le categorie del popolo e dei cavalieri-nobili.

Il comune podestarile e di popolo

Il podetsà, dapprima un invitato imperiale per il governo dei comuni, divenne intorno al 1200 una carica conferita ad un cittadino eminente, poi in seguito da un forestiero. Il modello podestarile si impose presto in quanto consentiva di superare le paralisi del governo consolare; dava inoltre al comune unità e stabilità per il termine stabilito di 1 anno. Operò sempre in collaborazione di collegia ristretti di politici cittadini. Il fatto che fosse un forestiero garantiva una amministrazione imparziale sulla base del diritto locale (liber statutorum). Nelle sue attività era aiutato da un’equipe (giudici, notai ferrovieri-polizia urbana)di collaboratori. In pieno 200 , lo statuto comunale era sempre più pieno di disposizioni sulle materie più varie, aggiornate annualmente nella commissione degli statutari. Di solito si apriva con le disposizioni imperiali e papali contro gi eretici per chiarire l’ortodossia del comune; poi iniziava il testo locale dello statuto con il “breve” (giuramento)del podestà, configurato come garante pacifico stato del comune. Sempre nello statuto era prevista una procedura di controllo dell’operato del podestà compiuto dai “sindaci”, rappresentanti del comune. Negli ultimi anni di scontro con Federico II il popolo degli imprenditori, stufo delle chiusura oligarchica della vita cittadina da parte della nobiltà, si organizzò in modo parallelo al comune , con un proprio capo, talvolta forestiero con una funzione simile a quella del podestà: ”il capitano del popolo”. Finì questi per avere una giurisdizione che tutelava i popolari dai processi intentati dinnanzi al podestà, o ad avere una posizione centrale nel comando delle truppe. Ci fu quindi un vittoria dei ceti mercantili e artigianali contro i gruppi nobiliari di antica tradizione militare. Vennero presi provvedimenti “antimagnatizi”, ossia quella serie di leggi che nei comuni maggiori tesero a limitare il prepotere di fatto dei magnati. Queste leggi non volevano colpire la nobiltà in sé, ma solo quelle famiglie che avevano ostentato un potere eccessivo escludendola dalle cariche principali.

La crisi delle libertà comunali

E’ in questo contesto mondo complesso che compaiono le “signorie cittadine”; si confermano nella suprema carica comunale certi personaggi con profonde radici nella società comunale. Entra in crisi il comune quindi; solo una piccola parte di essi rimane legata alla tradizionale forma repubblicane, statuari.

Verso apparati pubblici

In questo periodo XIV-XV si avverte ovunque in Italia la tendenza a superare la fase della guerra di tutti contro tutti e il diritto vide non solo l’affermarsi definitivo del profilo legislativo del potere politico, ma anche il correlativo affermarsi del sistema c.d. del “diritto comune”: il diritto romano ammodernato dai professori delle università diviene oltre che diritto dell’elitè, anche diritto applicato unitamente alle regole emenate localmente da re, principi e città. Fu visto come comune a vari popoli della cristianità; uniformò non solo la lingua del diritto ma anche il modo di accostarsi ai problemi giuridici. Sempre in questo periodo i vari ordinamenti cercarono di mettere le istituzioni al di sopra dei cittadini e dei sudditi; anche le repubbliche ebbero la tendenza a superare l’instabilità dei governi comunali definendo meglio gli organi di governo. I vari stati italiani però non risolsero il problema maggiore: quello militare e quello della frammentarietà.

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