Complementare allo sviluppo della giustizia regia fu la crescita della finanza pubblica e delle correlative istituzioni, promossa dalla monarchia francese a partire dall’età di Filippo il Bello.  Prima di allora, le entrate pubbliche provenivano in massima parte dalle terre di cui la corona poteva disporre direttamente, dai diritti connessi all’amministrazione della giustizia nonché dalle concessioni di privilegi, di titoli nobiliari, di diritti diversi.  Erano le entrate «ordinarie», di cui fecero parte anche i diritti di decima sui prodotti delle miniere. Tali entrate vennero riscosse dapprima dai prévóts quindi dai baillis, cui seguirono i receveurs.  Al centro esse erano gestite dai Tesorieri generali, un ufficio affidato all’ordine dei Templari sino a quando Filippo il Bello lo conferì ad ufficiali laici.

Il gettito delle entrate ordinarie divenne tuttavia drasticamente insufficiente.  Filippo il Bello escogitò una pluralità di strumenti alternativi che incontrarono forti ostacoli, ma aprirono la via agli interventi decisivi della seconda metà del secolo; il presupposto, esplicitato è che il re «può d’autorità levare imposte nei confronti di ogni persona del suo regno».

Nel 1355 gli Stati generali approvarono in via temporanea talune imposte che in séguito sarebbero divenute permanenti, senza peraltro perdere la qualifica di entrate «straordinarie» che ne aveva accompagnato l’istituzione. Si trattava di imposte indirette: l’aide, che colpiva la circolazione di talune merci quali il vino e il bestiame; la gabella sul sale; le traites sulle esportazioni di derrate.

Ad esse si aggiunsero poco più tardi talune imposte dirette quale, in primo luogo, la taglia (taille), introdotta nel 1370. Fissato dal re l’ammontare globale, la ripartizione della taglia si effettuava dall’alto verso il basso sino ai singoli «fuochi», su base personale (paesi d’oil. cioè la parte settentrionale dei regno) o su base reale (paesi d’oc: la parte meridionale).  La taglia era considerata come sostitutiva degli obblighi militari dei proprietari borghesi e rurali (roturiers), e perciò colpiva soltanto i redditi di costoro.

Il gettito di queste imposte sorpassò presto quello delle entrate ordinarie: nel 1441 esso era ormai di ben trenta volte superiore. La riscossione delle entrate straordinarie venne affidata a uomini eletti in origine dagli Stati generali (élus), in seguito nominati dal re. Le operazioni di centralizzazione delle risorse e di contabilità spettavano ai Generali della finanza.

Alla base come al centro, l’amministrazione delle entrate ordinarie e quella delle entrate straordinarie furono dunque separate.  Ma il controllo e la verifica contabile di entrambe le categorie di entrate spettò ad una sola magistratura di vertice, la Corte dei conti formatasi anch’essa per progressiva specializzazione all’interno della Corte regia e disciplinata con statuto nel 1320211: i receveurs, i trésoriers, i généraux des finances depositavano i conti su un tavolo ricoperto di una particolare stoffa denominata bure, che è all’origine dei termini bureau e burocrazia.

La Corte dei conti controllava anche i beni demaniali e registrava le ordinanze concernenti la finanza.  Essa tuttavia non possedeva poteri di giurisdizione: il contenzioso fiscale dal 1390 venne riservato a due magistrature: la Chambre du Trésot per le entrate ordinarie, la Cour des Aides per le entrate straordinarie. Quest’ultima era una corte sovrana dalla quale si poteva ricorrere soltanto al Consiglio del re per violazione di legge.

Tra gli strumenti di governo si possono annoverare la concorrenza istituzionale, la gerarchia, la specializzazione.

Concorrenza: possiamo così denominare la prassi consistente nell’affiancare ai poteri tradizionali l’esercizio di funzioni pubbliche da parte di ufficiali del re dotati di mezzi di intervento privilegiati: come avvenne ad esempio con le cause possessorie, con la procedura di enquéte, con il legame feudale prioritario (ligesse) tra vassallo e sovrano. Una rete di agenti locali del potere monarchico affermò così il proprio ruolo senza cancellare i poteri preesistenti, che sopravvissero pur risultando via via meno efficaci nei confronti della concorrenza esercitata dal potere nuovo.

Il principio gerarchico operò con gli strumenti tecnici della avocazione e soprattutto dell’appello.  Tramite, il re e le sue magistrature presero a intervenire nei casi più delicati e rilevanti.  L’appello consentì, di fare ricorso ai balivi avverso le sentenze dei giudici signorili, ed anche di impugnare le decisioni dei giudici regi locali e degli stessi giudici ecclesiastici innanzi alla corte centrale del Parlamento.  Si apriva così ai sudditi la via per ottenere la riforma di sentenze ritenute ingiuste, ma in pari tempo si assicurava al potere centrale il controllo delle decisioni locali.

L’organizzazione della Chiesa, offrì certamente un modello alla monarchia francese;  tuttavia questa seguì vie originali nell’istituire le magistrature centrali e nel porre in essere le loro procedure di intervento.  Il moltiplicarsi delle competenze regie impose una progressiva divaricazione delle attività giudiziarie, amministrative, fiscali, militari. Questo processo di specializzazione si manifestò sia in sede locale che al centro.

La complessità crescente delle funzioni e la nascita di nuove magistrature specializzate richiesero la presenza di un personale amministrativo dotato di specifiche competenze tecniche.  la formazione giuridica divenne indispensabile per l’esercizio di molte funzioni pubbliche, e non soltanto per i titolari delle magistrature giudiziarie in senso stretto.  Anche in Francia, come in tutte le strutture politiche europee del tardo medioevo, i giuristi di professione si affermarono quali strumenti di governo dei quali, da allora e sino al presente, nessuna li esse poté più fare a meno. li sovrano cercò i suoi giuristi dove poteva trovarli, non di rado prescindendo anche dai requisiti nobiliari e di ceto: la formazione giuridica divenne così un mezzo efficace di promozione sociale, un canale privilegiato per l’accesso all’élite di governo.

La ragione della fortuna goduta dai giuristi risiede nell’efficacia dei loro strumenti di lavoro.  la monarchia necessitava infatti non soltanto di iniziative di governo e di atti di controllo del territorio, ma anche di strutture concettuali a sostegno delle sue pretese.

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