Trascorsero settant’anni a Costantinopoli non tollero più di passare dopo Roma: il concilio di Calcedonia da 451 mise allo stesso livello le due sedi in quanto trinità, togliendo quindi di fatto al Papa il suo primato.

Roma proprio nel suo sanato, che di fronte a quella recente di Costantinopoli esercitava il fascino della sua nobiltà antica, deteneva i rappresentanti di un estremo conservatorismo pagano, indifferente agli obblighi derivanti dalle editto di Tessalonica.

Nell’aula in cui si tenevano le sedute del senato troneggiava l’altare collocato da Augusto, con la Statua della vittoria, venerata in quanto simbolo degli immortali destini della romanità antica, simbolo glorioso ma pagano.

Quando Graziano, collega di Teodosio il grande, provvide a rimuovere l’altare nel 382 dietro le pressioni di Ambrogio, vescovo di Milano, non mancarono resistenze sanatorie. Dopo l’assassinio di Graziano nel 383 il successore Valentiniano II ebbe forti pressioni perché ripristinasse l’altare della curia; in realtà poco mancò che ciò avvenisse. Se Ambrogio riuscì a impedirlo, fu solo a costo di una pluriennale, celebre polemica con Quinto Aurelio Simmaco, senatore pagano, prefetto di Roma.

Dietro l’episodio si nasconde l’ultimo tentativo di restaurazione pagana compiuto per l’ispirazione del senato.

Esso culminò in un fatto d’armi, e fu soltanto la fortunosa vittoria riportata da Teodosio sull’usurpatore Eugenio del 394 sulle rive del fiume Frigido, a spegnere definitivamente ritorni di fiamma del paganesimo.

L’ara della Vittoria non fu però dimenticato. Nel 410 il visigoto Alarico saccheggiò Roma per la prima volta nella storia, il circolo la voce che l’incredibile sacrilegio non era che la vendetta degli dei per l’altro sacrilegio compiuto quasi trent’anni prima dall’imperatore con la violazione dell’altare.

Dopo la personalità di Sant’Ambrogio costrinse Graziano e Valentiniano II a interrompere le amichevoli relazioni con l’aristocrazia sanatoria paganeggiante, ottenendo che Graziano rinunciasse al titolo di pontefice Massimo; riuscì inoltre ad imporre a Teodosio una clamorosa penitenza pubblica che, per essere apparsa cose inaudite lesioni incredibile della maestà imperiale ha scosso l’opinione pubblica a tal punto da entrare nella leggenda.

Durante un tumulto popolare a Tessalonica nel 390, era rimasto ucciso il capo del presidio militare e Teodosio, per punizione, aveva lasciato massacrare migliaia di cittadini, uomini e donne. Ambrogio per assolvere l’imperatore da tanto crimine e per riammetterlo all’eucaristia nell’occasione del Natale, volle e ottenne che, privo delle insegne imperiali, si pentisse pubblicamente in chiesa del proprio peccato e che chiedesse il perdono. Per la prima volta il più grande di sovrani si sotto mise così in spiritualibus alla Chiesa.

Ambrogio affermò che l’imperatore, e non l’impero, è nella chiesa. Quindi la persona quale individuo del monarca, nella sua qualità di cristiano e di fedele, deve obbedire al Papa e ai vescovi.

L’imperatore quindi, davanti alla Chiesa, veniva considerato come spogliato dei suoi poteri. Infatti Ambrogio spiega come ne gli affari temporali l’imperatore abbia dominio assoluto, ma ne gli affari spirituali tale dominio spetta unicamente al Papa.

Tale tesi, così analizzata, appare concorde a quella sostenuta da Ottato vescovo di Milevi, il quale insegnava che non era lo stato essere compreso entro la chiesa, ma la Chiesa nello Stato.

Entrambi i padri, dunque, si collocano nel solco della tradizione che nella sostanza non era mai cambiata. Circa un secolo più tardi le darà corpo definitivo in una formula famosa Papa Gelasio I. Il suo pontificato è stato brevissimo (492- 496) mai riuscito è un a imprimere un’orma nella storia della Chiesa. Gelasio fu l’appassionato difensore dei diritti della Chiesa sui due punti più pericolanti: il primato del Papa e l’invadenza imperiale nella verità di fede, ossia il cesaropapismo.

Per quanto concerne il primato del Papa, la dignità suprema del pontefice era insidiata dal concilio di  Calcedonia da 451, che assicurava pari dignità è pari privilegi alla sede di Costantinopoli. Quest’idea era largamente condivisa nell’ambiente bizantino: nel 470 l’imperatore Leone I si era spinto a celebrare la Chiesa Costantinopolitana come madre perpetuata della religione della fede. A Roma usava spostare il problema dal piano politico e derivare il primato del pontefice dal primato che Cristo aveva inequivocabilmente attribuito Pietro, principio rilanciato da diversi imperatori, e che traspare dal Decretum Gelasianum, il quale rispecchia il pensiero del Papa e della sua cerchia

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