Alcune più importanti riforme del Parlamento inglese del XIX secolo, come l’abolizione delle forms of action, vennero a sanzionare e consolidare risultati già attinti dallo sviluppo organico del Common Law mentre altre furono effettivamente innovative.

Le riforme principali riguardarono 3 settori:

L’organizzazione delle corti di giustizia

La fusione della competenza giurisdizionale tra corti di Common Law e Equity

Abolizione delle forms of action

Le prime due sono connesse tra loro e furono necessariamente legislative perché gli inconvenienti della separazione delle due corti erano gravi e ingiustificabili. Dovendosi unificare le corti serviva anche riformare tutto il sistema organizzativo delle corti. Per il paese infatti vi era una sola giurisdizione, quella di Common Law, e il resto era considerata come finzione.

La terza riforma era vicina a quello che il Common Law aveva già conseguito: la riforma ebbe quindi l’effetto di riformalizzazione di quella già vigente. La riforma abolì del tutto i writs nominati sostituendoli con un semplice atto di citazione.

L’abolizione delle forms of actions e l’affermarsi del precedente vincolante

Le riforme giudiziarie, Judicate Acts, costituirono l’inizio della rivoluzione del diritto inglese. Quando i giudici furono liberati dovettero affrontare uno shock diverso dai giudici continentali. Vengono liberati per essere maggiormente creativi ma le loro gabbie erano anche i parametri della legalità delle loro affermazioni. Mutata la procedura il diritto sostanziale non era cambiato. Tolte le gabbie delle forms of action la possibilità di esibire ragionamenti così lineari veniva meno. I giudici venivano restituiti al ruolo elevatissimo di oracoli del diritto ma senza il supporto del quadro di riferimento che per secoli avevano conosciuto. La reazione dei giudici inglesi alle riforme giudiziarie del XIX secolo fu quella di irrigidire il criterio del precedente vincolante.

Fino al XIX secolo il giudice doveva tenere nel massimo conto le precedenti decisioni sue e di altri giudici in casi analoghi. Tuttavia tutta la fase di sviluppo organico del common law dimostra come i giudici fossero consapevoli del loro potere di discostarsi dalle decisioni precedenti. Nel XIX secolo invece prende piede la teroria che il precedente giudiziale è giuridicamente vincolante in modo assoluto → ne deriva la cosiddetta teoria dichiarativa del precedente giudiziario: il suo assunto di partenza è che il commonh law non sia una judge made law (diritto giurisprudenziale) ma sia una consuetudine giuridica esistente ab immemorabile in Inghilterra. Questa consuetudine si compone di una serie di norme non scritte ma conosciute da ogni buon inglese.

Il compito di dare ad esse una verbalizzazione spetta solo ai giudici quando essi agiscono come giudici ossia quando risolvono una controversia che è sottoposto ad essi. Nel fare ciò i giudici enunciano quale sia la regola di diritto consuetudinario in base alla quale la controversia viene risolta in un modo o nell’altro → quando una regola del diritto consuetudinario è stata scoperta e verbalizzata da un giudice essa cessa di esistere allo stato amorfo e il giudice seguente non deve fare altro che applicare al caso da decidere la regola formulata in precedenza. La teoria dichiarativa del precedente giudiziale aveva lo scopo preciso di difendere l’immagine della legalità giurisprudenziale. Diveniva necessario individuare nel testo della sentenza il punto esatto in cui il giudice enunciava la regola che costituiva la ragione del decidere mentre tutto il resto veniva considerato detto gratis (obiter).

Nelle sentenze inglesi ciascun giudice poteva esprimere una sua opinione a giustificazione della decisione (ratio decidendi) da lui suggerita. Il giudice è quindi indotto ad esprimere una vasta gamma di considerazioni. Alla distinzione tra ratio decidendi ed obiter dictum fa seguito un altro corollario. Il giudice seguente è vincolato alla decisione precedente solo se ritiene che il problema che egli deve risolvere si ponga negli stessi termini in cui si è posto il problema risolto mediante la regola enunciata nella ratio decidendi della sentenza precedente. Da ciò discende un terzo corollario, quello per cui un giudice non è vincolato dalle pronunce precedenti se ritiene che il problema a lui sottoposto sia distinguibile da quello affrontato nelle sentenze precedenti → i fatti di causa a lui sottoposti devono contenere almeno un elemento giuridicamente rilevante che li distingua dai fatti precedentemente giudicati.

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