In base alla Carta Costituzionale, la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro. A taluni questa fondazione è apparsa gracile, in quanto il lavoro viene considerato dalle teorie economiche una merce. Ad altri è sembrata una affermazione imprecisa, in quanto l’indole italiana più che al lavoro è legata al posto di lavoro.

In realtà a fondamento della nostra Costituzione c’è la libertà della persona che lavora e che rende possibile il progresso economico, sociale e umano. In un modo o nell’altro, la nostra esistenza dipende dal lavoro, nostro o altrui, lavoro che ha costituito la struttura portante dell’evoluzione della civiltà.

Sul piano storico, il riconoscimento della dignità sociale della persona che lavora e la traduzione in realtà del principio della libera iniziativa dell’uomo sono state lunghe e faticose, ma hanno determinato una visione dello sviluppo economico e sociale che si sta affermando, a livello mondiale, con sempre più nazioni coinvolte nei meccanismi di mercato e il conseguente affrancamento dalla povertà di centinaia di milioni di persone.

Anche la crisi attuale, che ha fatto venir meno la fiducia nel mercato inteso come meccanismo capace di autoregolarsi e di generare sviluppo per tutti, ci costringe inevitabilmente a ripensare, all’organizzazione dell’impresa e al mercato del lavoro.

Il lavoro e il mercato

Per educare al lavoro bisogna aver chiaro il carattere antropologico del mercato e dell’impresa come espressione della libera iniziativa dell’uomo. Tuttavia il mercato da solo non è capace di riequilibrare il sistema economico, ma ha bisogno dello Stato per farlo: senza uno Stato efficiente, non ci può essere vera solidarietà, né rispetto dei diritti, né tutela dei cittadini. L’Italia è un paese bloccato, che non riesce ad assicurare condizioni adeguate di benessere sui cittadini, anche a causa di una burocrazia pesante, di un mercato del lavoro rigido, della criminalità organizzata e della lentezza della giustizia. In queste condizioni riforme strutturali per rendere l’economia più competitive pure qua diventano necessarie, ma presuppongono l’iniziativa e lo spirito di sacrificio che hanno caratterizzato il nostro paese durante la ricostruzione postbellica.

L’economia d’impresa

L’impresa è caratterizzata da una continua tensione a rinnovare, a trasformare, a scambiare e a guardare verso il futuro: nessuna decisione imprenditoriale non influenza la comunità e, reciprocamente, tutto ciò che accade nella comunità ha ricadute sull’impresa. L’impresa ha un comportamento responsabile quando considera il perseguimento del bene comune come obiettivo a cui concorrere, poiché fare impresa non coincide col fare profitto, ma significa produrre valori e sviluppare conoscenze nell’interesse dell’intera società.

L’occupazione è frutto dell’intraprendenza umana: l’imprenditore, scoprendo, combinando, trasformandole scambiando le risorse, di veri e propri atti creativi che possono influire positivamente sul benessere sociale. Il profitto è il fondamentale misuratore dell’efficienza dell’impresa: esso rappresenta il premio per aver saputo soddisfare le esigenze del consumatore, per aver migliorato la produzione e costituisce la base per nuovi investimenti che garantiscono sviluppo, occupazione e reddito per i lavoratori. In tal senso il profitto non deve essere fine a se stesso, ma è solo una tappa del circolo virtuoso dello sviluppo “educazione-cultura-impresa-lavoro-produzione-redistribuzione”.

Ripensare il lavoro

In un clima caratterizzato dalla lotta alla precarietà, tuttavia il concetto di lavoro non può essere associato solo a chi ha un posto retribuito, ma il lavoro deve essere ripensato in base a parametri anche antropologici, analizzato in termini di competenze, responsabilità, capacità. Anche oggi, come negli anni 70, esistono condizioni alienanti di lavoro, ma in molte realtà produttive si cercano lavoratori specializzati e si parla di economia della conoscenza. Le priorità da perseguire sono due: un massiccio investimento in ricerca, tecnologia di formazione e una liberalizzazione delle dinamiche del mercato del lavoro.

Innovazione tecnologica, istruzione e occupazione

La nostra è una società inospitale per i giovani. Ci sono ricerche pedagogiche che dimostrano come giovani studenti pluribocciati, incapaci in classe di trovare le giuste motivazioni, possono cambiare idea sull’importanza della formazione proprio grazie alla loro esperienza professionale. Maturare competenze nel mercato del lavoro fa crescere, dunque, e ciò che a tutti gli effetti può essere considerato un fallimento, cioé la conclusione prematura degli studi, in realtà può diventare l’occasione per un salutare salto di qualità.

Come farsi carico di un cambiamento di prospettiva del genere, per di più in un contesto economico e sociale segnato dalla crisi? Occorre allargare lo sguardo sui tempi che stiamo vivendo e cogliere l’occasione per rilanciare il forte bisogno di etica. Senza un approccio condiviso in nome delle regole, il mercato non può rispondere appieno alla sua funzione, l’impresa non riesce a essere a servizio della comunità e, viceversa, il territorio fatica a valorizzare i segnali di innovazione che arrivano dalle aziende.

Lo stesso vale per il dialogo tra le generazioni, in cui è chiesto agli adulti innanzitutto di rimettere in campo le proprie competenze e le proprie capacità. È una sfida di tipo antropologico, che riguarda la società tutta.

Un modello sociale competitivo e inclusivo

avere un lavoro stabile è compatibile solo con un’impresa durevole. Invece oggi l’enfasi data al tema del precariato racchiude due diverse problematiche: da un’auto esprime la preoccupazione dei giovani che non riescono a metter su famiglia per mancanza di stabilità professionale; dall’altro esprime l’idea dell’enfatizzazione della stabilità professionale come unico criterio di giustizia sociale. Secondo alcuni il sistema inclusivo a cui si assiste da alcuni anni, caratterizzato dall’introduzione della flessibilità, non accresce di per sé il precariato.

Proposte

In questo contesto è necessario rivedere le regole del mercato del lavoro e del welfare. Innanzitutto va aggiornato il quadro dei diritti dei lavoratori includendo le nuove forme di lavoro improntate alla flessibilità e riducendo le differenze tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. In secondo luogo occorrerebbe indicizzare e correlare l’età pensionabile all’aumento della prospettiva di vita, per indirizzare una parte delle risorse a sostegno della disoccupazione. Infine occorre costituire una società più aperta, dove si promuove il merito e dove siano dati a tutti uguali opportunità di partenza, offrendo un sistema di formazione continua e di concreta tutela “del” e “sul” luogo di lavoro.

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