La disciplina dei patti di famiglia , ovvero dei patti successori nell’ambito dell’impresa, è stata approvata dal Parlamento con la legge n. 55 del 2006, attraverso la novellazione degli artt. 768 bis – octies. La trattazione del patto di famiglia, un contratto che deroga al divieto dei patti successori, ha portato ad aggiungere al testo dell’art. 458 l’inciso iniziale fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti .

Il patto di famiglia, comunque, viene introdotto per assicurare al disponente il potere di gestire il ricambio generazionale nella titolarità dell’impresa di famiglia, derogando in modo significativo alla disciplina delle donazioni ed evitando di ricorrere al testamento.

 Per analizzare l’importanza di tale contratto, risulta necessario partire dalla constatazione di un dato socio economico: in passato buona parte delle piccole-medie imprese (1/3 ca.) cessavano la propria attività a causa della morte del soggetto che le aveva animate. Tale elemento, evidenziando l’inefficienza delle disposizioni normative volte a disciplinare la successione dell’impresa, manifestava la necessità di rinnovare la materia. Stimoli all’intervento normativo sono venuti anche dal contesto internazionale, che spingeva verso l’abolizione del divieto dei patti successori. Nel nostro sistema, comunque, gli elementi di rigidità non riguardavano soltanto tale divieto, ma comprendevano la stessa disciplina successoria (es. azione di riduzione a tutela dei legittimari).

Di fronte all’inefficienza del nostro sistema ci si è chiesti se ci fosse spazio per ricorrere alle regole del diritto privato internazionale. Nella Convenzione di Roma del 1980 si fa riferimento al principio di libertà di scelta della legge riguardo le obbligazioni contrattuali, tuttavia, l’art. 1 stabilisce che non lo si può fare in materia successoria. La legge n. 218 del 1995, riformando la disciplina generale del diritto privato internazionale in precedenza contenuta nelle preleggi, dispone la possibilità di scegliere la legge nazionale del de cuius (art. 46), tuttavia, non ci sono i margini per risolvere l’inefficienza delle norme interne a livello internazionale. Si è allora pensato di trovare una soluzione attraverso l’utilizzo dei contratti trans o post mortem, ma anche questa si è dimostrata una strada impercorribile.

Spazi importanti di regolazione del fenomeno si sono aperti in seguito alla riforma della disciplina societaria (2003). Alcune discipline societarie, infatti, sembrano portare verso una maggior tutela degli interessi del disponente:

  • art. 2355 bis co. 3.
  • art. 2469: il padre può privilegiare un figlio rispetto ad un altro, trasferendo ad uno solo di essi le proprie quote societarie.
  • art. 2468 co. 3: il titolare dell’azienda ha diritto ad attribuire particolari diritti ad un singolo socio (es. figlio).

 Questa disciplina, autorizzando il padre a privilegiare alcuni figli rispetto ad altri, sembra creare una disparità di trattamento, annullando inoltre i diritti riconosciuti ai legittimari. Tali diritti, comunque, per quanto radicati nella nostra cultura, non trovano una giustificazione a livello costituzionale, dato che l’art. 42, l’unico che fa riferimento alla materia successoria, dispone una semplice riserva di legge relativa.

In definitiva, l’applicazione di tali regole societarie sembra poter dare una risposta al problema sopra citato dell’estinzione delle imprese: l’animatore dell’attività imprenditoriale, infatti, per evitare tale estinzione, può disporre secondo la sua personale visione la successione nell’impresa, privilegiando senza incorrere in illecito i soggetti che ritiene più adatti ad assolvere al ruolo.

 Il patto di famiglia è il contratto con cui l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda (o il titolare di partecipazioni societarie trasferisce le proprie quote) ad uno o più discendenti (art. 768 bis). Controparti del trasferente, tuttavia, sono anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore (art. 768 quater co. 1). Se per il diritto comune questi soggetti sarebbero titolari di un interesse qualificato come aspettativa, con il patto di famiglia acquistano
immediatamente i loro diritti successori.

Gli assegnatari dell’azienda (o delle partecipazioni societarie) devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, nel caso in cui questi non vi rinuncino, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli artt. 536 e seguenti (art. 768 quater co. 2). All’apertura della successione, il coniuge e gli altri legittimati che non abbiano partecipato al contratto perché non erano in vita al momento in cui è stato concluso possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’ art. 768 quater, aumentata degli interessi legali (art. 768 sexies co. 1). L’inosservanza di tale disposizione costituisce motivo di impugnazione ai sensi dell’articolo 768 quinquies (art. 768 sexies co. 2)

Un’agevolazione al trasferimento dell’impresa (o delle quote) è data dal fatto che quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto né a collazione né a riduzione (art. 768 quater co. 4).

 Il patto di famiglia, che deve essere concluso per atto pubblico, a pena di nullità (art. 768 ter), produce sia effetti reali, quanto agli accordi in esso contenuti, sia effetti obbligatori, quanto alle conseguenze sul piano dei rapporti successori. Sebbene si tratti di un rapporto trilaterale che coinvolge il disponente, i beneficiari e i legittimari esclusi dalla successione, produce effetti indiretti anche nei riguardi dei terzi legittimari che non hanno potuto partecipare alla conclusione del contratto.

Il patto di famiglia può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli articoli 1427 e seguenti (art. 768 quinquies), cioè solo per errore, violenza e dolo. L’azione si prescrive nel termine di un anno.

Il contratto non può essere unilateralmente modificato dal trasferente, e infatti può essere sciolto o modificato solo dalle medesime persone che lo hanno concluso (art. 768 septies):

  • mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti.
  • mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.

 Si sono posti alcuni problemi per la classificazione di questo contratto: si tratta infatti di un negozio inter vivos che produce effetti post mortem, perché mette al riparo i beneficiari dalle pretese degli altri che hanno concluso il contratto e assicura a chi non ha potuto aderirvi diritti che non intaccano quanto assicurato ai beneficiari mediante il patto. La causa del contratto, ovvero il trasferimento di beni attuali al fine della continuazione dell’impresa, non risponde solo alla tutela dell’imprenditore e dei beneficiari, ma anche all’interesse economico generale, perché si presume che l’imprenditore scelga come beneficiari i soggetti che meglio di altri potrebbero continuare l’esercizio dell’impresa.

 Dall’analisi della disciplina del patto di famiglia, sorgono due principali problematiche:

  • che senso ha ricorrere all’art. 768 quinquies, che fa riferimento all’errore, alla violenza e al dolo, nei casi di mancata osservanza dell’art. 768 sexies co. 2, dal momento che non sembrano esserci legami tra l’una e l’altra cosa?
  • com’è possibile coordinare il disposto dell’art. 768 quater co. 1 (al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari) con quello dell’art. 768 sexies co. 1 (il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato)?

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