L’interpretazione è un’attività pratica che acquista rilievo giuridico quando viene effettuata dal giudice nell’esercizio delle sue funzioni. Si parla in tal caso di interpretazione giurisprudenziale (per distinguerla da quella dottrinaria) che ha valore giuridico perché costituisce il diritto vivente che mediante le sentenze dei giudici diventa operante nei rapporti della vita sociale. Ogni sentenza è giuridicamente vincolante soltanto per le parti in causa e in riferimento al caso specifico. Ne consegue che anche il risultato interpretativo non ha valore giuridico oltre al caso di specie. Infatti, in base al nostro ordinamento, il giudice non è vincolato al precedente giurisprudenziale. In base all’art. 101 Costituzione i giudici sono soggetti soltanto alla legge, il principio di legalità serve a consentire che l’interpretazione della legge possa evolversi con il tempo e non cristallizzarsi in significati giurisprudenziali non più corrispondenti alle esigenze di una società più evoluta. Il nostro ordinamento tende a garantire l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale mediante l’istituzione della Corte di cassazione che è il massimo organo giudicante, cui si può far ricorso per violazione o errata applicazione di norme di diritto. Tuttavia, anche l’interpretazione della Cassazione potrebbe non essere sempre uniforme, ciò non esclude che la pronuncia a Sezioni Unite venga ritenuta particolarmente attendibile.

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