Le società sono regolate dall’atto normativo fondamentale della Costituzione che, ponendosi al vertice nella gerarchia delle fonti del diritto, dispone al più alto grado in merito ai principi fondamentali, ai diritti e ai doveri dei cittadini e disciplina la divisione dei poteri e l’ordinamento degli organi statali: di conseguenza è necessario comprendere come gli assetti costituzionali reagiscano all’impatto delle tecnologie informatiche a all’approccio della rete.
Pertanto si pone il problema della tenute, del valore e della capacità delle costituzioni di regolare i diritti, libertà e relazioni che, nella società tecnologica, per essere tutelati hanno bisogno di soluzioni che superino i confini statali.
Da tale interrogativo derivano le teorie, di matrice americana, che qualificano Internet come ordinamento giuridico autonomo.
Nelle ricostruzioni di Internet come ordinamento autonomo, la rete viene vista come uno spazio spontaneo e libertario, con una propria regolazione giuridica cioè la “lex informatica”, retta dalla self-regulation degli utenti ma anche dalla co-regulation degli Stati.
In realtà, alla luce della debolezza di una struttura giuridica autonoma di Internet e dell’incapacità degli atti sovranazionali a regolare, da soli, i diritti e le libertà degli individui è necessario interrogarsi sul rapporto tra tecnologie informatiche e Costituzioni, dal momento che oggi queste restano l’atto fondamentale che regola la vita negli Stati.
La questione è complessa: le tecnologie creano diritti e libertà inedite o sono solo strumento ed espansione di diritti e libertà esistenti? Da tale interrogativo ne discende uno immediatamente conseguente, ossia se sia necessario intervenire sulle Costituzioni meno recenti con nuove norme o se sia sufficiente l’interpretazione delle garanzie costituzionali esistenti.
Tali problematiche originano da una nuova forma di libertà generata dall’impatto delle nuove tecnologie: la tradizionale libertà personale si traduce come protezione della propria sfera autonoma ma anche come diritto di controllo relativo alle informazioni e ai dati sulla propria persona. Grazie a Internet e alla rete, tale libertà acquisisce un ulteriore significato come diritto alla partecipazione alla società tecnologica, parte integrante della vita reale, esercitando un insieme di diritti diversi.
L’emersione di questa nuova forma di libertà informatica, frutto delle possibilità inedite consentite dalle tecnologie e composta da un insieme di diritti legati alle sue diverse anime, proprio per le sue caratteristiche incide sulle Costituzioni, atti tesi a fornire tutela ai diritti e alle libertà incontrando soluzioni diverse nei differenti ordinamenti del mondo.
Il problema si atteggia diversamente a seconda del momento di emanazione delle Carte costituzionali:
- Quelle più recenti hanno potuto assorbire l’impatto delle tecnologie e alludere o prevedere questa nuova libertà.
- Le costituzioni anteriori devono tutelare la nuova realtà digitale per mezzo dell’introduzione di nuove norme o per mezzo di un’interpretazione evolutiva di quelle esistenti.
Nel caso delle Costituzioni recenti troviamo, in alcune di queste, un riferimento esplicito alla libertà informatica: già alcune costituzioni degli anni ’70, come quella spagnola e quella portoghese, vi alludevano ma maggiormente esplicite sono le carte costituzionali dell’America Latina, del Brasile, del Venezuela, del Paraguay, dell’Ecuador, del Messico. La libertà informatica trova fondamento anche nel combinato disposto delle norme della costituzione della Federazione di Russia e di quella della Repubblica del Sudafrica. In Europa, più di recente, è necessario menzionare la revisione costituzionale del 2001 in Grecia che ha previsto il diritto di accesso alla rete e un corrispettivo esplicito obbligo a carico dei pubblici poteri di garantirne l’effettiva realizzazione.
Altri paesi hanno previsto esplicitamente in legge i diritti legati alle nuove tecnologie: è il caso dell’Estonia che nel 2000 ha disposto il diritto a Internet nella lista dei servizi universali, da garantire a tutti, a prescindere dalla posizione geografica.
Da ricordare anche il caso della Francia nel 2009 che con la legge prevede il diritto legale di accesso ad Internet, ritenendo diritto elementare una connessione a banda larga di alta qualità ad un prezzo ragionevole e impegnando i fornitori a garantire una velocità di download di almeno un megabit al secondo.
Dal 2011 anche la Spagna collega l’accesso ad Internet al concetto di servizio universale e nel 2014 inserisce in legge la banda larga tra gli obblighi del servizio universale, garantendo a ogni cittadino una connessione minima da un megabit al secondo.
Accanto a Stati che hanno scelto la via della modifica costituzionale con l’inserimento di norme che tengono in considerazione le tecnologie, altri hanno offerto tutela alla libertà informatica per mezzo dell’interpretazione evolutiva delle norme esistenti.
Da questo punto di vista è significativa la sentenza americana della Corte Suprema U.S del 1997 che ha dichiarato incostituzionale il “Communication Defency Act” del 1996 che vietava i contenuti di carattere indecente su Internet.
La Corte Suprema riconosce Internet “quale mezzo di comunicazione umana a livello mondiale capace di accrescere le libertà” e ritiene che “l’interesse a stimolare la libertà di espressione in una società democratica è superiore a qualunque preteso beneficio della censura”.
Il fondamentale carattere globale della società tecnologica ci porta a guardare altresì agli atti sovranazionali.
A livello internazionale si può richiamare l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 che qualifica il diritto di libertà alla manifestazione del pensiero come diritto di “cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
In merito rileva l’articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dalle Nazioni Unite il 19 Dicembre 1966 ed entrato in vigore nel 1976, che prevede una libertà di espressione “senza riguardo a frontiere” attraverso qualsiasi mezzo a scelta dell’individuo.
Nello stesso senso, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 4 Novembre 1950 prevede nell’articolo 10 la libertà di espressione “senza limiti di frontiera” che può essere sottoposta solo alle limitazioni legali necessarie, in una società democratica, a proteggere una serie di interessi tutelati.
Inoltre, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea l’articolo 1 qualifica la dignità umana come valore inviolabile e quindi fondamentale canone interpretativo, l’articolo 8 viene dedicato alla protezione dei dati di carattere personale e l’articolo 11 è dedicato alla libertà di espressione e d’informazione da esercitare “senza limiti di frontiera”.
Il Parlamento Europeo in una risoluzione del 2008 ha riconosciuto l’impatto di internet sui diritti dell’uomo e ha esplicitato la necessità di un “rafforzamento della sicurezza e delle libertà fondamentali su Internet”.
Più di recente, il Consiglio d’Europa precisa che gli Stati sono tenuti a garantire a ogni persona i diritti umani e le libertà fondamentali sancite dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, sottolineando che tale obbligo vale anche nel contesto di Internet, al quale si applicano le altre convenzioni e gli altri strumenti europei di tutela dei diritti.
Degli di nota infine gli atti europei relativi alle comunicazioni elettroniche e il regolamento che stabilisce misure riguardanti “l’accesso a un’Internet aperta”: in particolare il regolamento tratta il principio di neutralità della rete.