Si potrebbe definire quella corrente di pensiero giuridico secondo la quale una legge per essere tale, deve essere conforme a giustizia. Questo se vogliamo è un ideale ma non certo una realtà di fatto. Quando ci si pone il problema di cosa sia diritto in una certa situazione storica, ci domandiamo che cosa è di fatto il diritto, non ciò che esso dovrebbe essere. Ma se ci si domanda che cosa è di fatto il diritto, non si può fare a meno di dire che nella realtà vale come diritto anche quello ingiusto e che non vi è nessun ordinamento perfettamente giusto. Con un’altra definizione si potrebbe dire che la teoria del diritto naturale è quella che ritiene di poter stabilire ciò che è giusto da ciò che non lo è in modo universalmente valido.

Ma questa è una pretesa infondata; Per Kant, era naturale la libertà, per Aristotele la schiavitù. Per Locke era naturale la proprietà individuale, ma per tutti gli utopisti socialisti, l’istituto più conforme alla natura dell’uomo era la comunione dei beni. Questa varietà di giudizi tra gli stessi giusnaturalisti dipendeva da due ragioni fondamentali: il termine natura è generico e acquista diversi significati a seconda del modo con cui viene usato; anche se il significato del termine fosse univoco e tutti fossero d’accordo nel ritenere che alcune tendenze sono naturali e altre no, non si può dedurre un giudizio di valore su un giudizio di fatto. Hobbes e Mandeville erano d’accordo nel ritenere che tendenza naturale dell’uomo fosse l’istituto utilitario, ma per Hobbes questo conduceva alla distruzione della società mentre per Mandeville era vantaggioso.

La riduzione della validità a giustizia non può portare che a una sola conseguenza: alla distruzione di uno dei valori fondamentali su cui si fonda il diritto positivo: il valore della certezza. Se la distinzione fra giusto e sbagliato non è universale, a chi spetta il compito di decidere? Le risposte possibili sono2 : Spetta a coloro che detengono il potere ma in questo caso si converte la dottrina che risolve la validità in giustizia, a quella opposta che riduce giustizia a validità dal momento che si viene a riconoscere che è giusto ciò che è comandato; Spetta a tutti i cittadini e in questo caso, posto che i criteri di giustizia sono diversi, al cittadino che disubbidisce perché ritiene la legge ingiusta, i reggitori non avrebbero nulla da obiettare e la sicurezza andrebbe completamente distrutta.

Del resto che nella stessa dottrina del diritto naturale, la riduzione della validità a giustizia sia più affermata che applicata, si può dimostrare da due argomenti della dottrina giusnaturalista: essa afferma infatti che è dottrina che gli uomini prima di entrare nello stato civile fossero vissuti nello stato di natura ma è pur dottrina che lo stato di natura è impossibile e che da esso bisogna uscire per fondare lo stato. Kant chiamò il diritto naturale “provvisorio”, e quello positivo “perentorio”.

Altro argomento è che è dottrina comune dei giusnaturalisti che il diritto positivo non conforme a quello naturale sia da considerarsi ingiusto, ma ciò nonostante si debba ubbidirlo; e ubbidire significa accettare una norma di condotta come vincolante e quindi valida. L’affermare che una norma deve essere ubbidita anche se ingiusta è quindi un giro più lungo per arrivare a dire che una norma può essere valida anche se ingiusta e che pertanto giustizia e validità non coincidono.

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