La circolazione dei cittadini dell’Unione può essere limitata per motivi di ordine pubblico,pubblica sicurezza e sanità pubblica. Allorché sussistano tali motivi, lo Stato membro può negare l’ingresso ad un cittadino di un altro Stato membro ovvero può adottare misure limitative del soggiorno nei confronti del cittadino già ammesso sul suo territorio. I contenuti di tali limiti è precisato nella direttiva 2004/38/CE, la quale tende ad impedire una valutazione pienamente discrezionale da parte degli stati membri riguardo al contenuto di concetti che possono pregiudicare in modo rilevante la libertà di circolazione.

Si enunciano infatti alcune ipotesi nelle quali i limiti previsti dal Trattato non consentono di giustificare misure restrittive dell’ingresso e del soggiorno; cosi, l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza non sono invocabili per fini economici e la sola esistenza di condanne penali non può giustificare l’adozione di provvedimenti di allontanamento dal territorio(art. 27,parr. 1 e 2).

Mentre il limite della sanità pubblica non solleva questioni interpretative dato che è la direttiva ad indicare quali malattie possono giustificare misure restrittive, è alquanto problematica la definizione dei concetti di pubblica sicurezza e ordine pubblico. La Corte ha riconosciuto l’esigenza di lasciare in questa materia,alle competenti autorità nazionali un certo potere discrezionale, ed ha considerato che la “nozione di ordine pubblico varia da un Paese all’altro,da un’epoca all’altra”;ciononostante,sono state fornite nella giurisprudenza comunitaria varie precisazioni circa il contenuto di tali nozioni,dalle quali derivano limiti significativi agli spazi di apprezzamento discrezionale degli Stati membri.

La Corte ha anzitutto sottolineato il carattere eccezionale dei provvedimenti restrittivi adottati sulla base di motivi di ordine pubblico e pubblica sicurezza: tali provvedimenti non possono essere considerati come una condizione preventiva all’ingresso e al soggiorno,ma come un’eccezione rispetto all’esercizio di un diritto riconosciuto dal Trattato. Ne deriva che tali nozioni devono essere interpretate restrittivamente. Fondandosi su questo criterio, la Corte ha affermato che il diritto alla libera circolazione può essere limitato solo se la presenza o il comportamento dello straniero costituiscono una minaccia effettiva ed abbastanza grave per l’ordine pubblico; la minaccia deve essere attuale e deve riguardare uno degli interesse fondamentali della collettività.

Interpretando il limite dell’ordine pubblico, la Corte ha aggiunto,richiamandosi alla CEDU,che tali restrizioni non possono trascendere ciò che è necessario per soddisfare le esigenze di ordine pubblico in una società democratica. I provvedimenti sull’ingresso e il soggiorno devono essere comunque conformi ai diritti fondamentali. Inoltre la Corte ha escluso che possano essere presi in considerazione,nei confronti di cittadini degli Stati membri,motivi che prescindano dal caso singolo adottati su considerazioni di prevenzione generale. La Corte ha altresì affermato che l’ordine pubblico giustifica misure restrittive del soggiorno solo se lo straniero abbia posto in essere un comportamento che l’ordinamento reprime anche allorché sia tenuto dal cittadino “interno”.

Ciò comporta,in sostanza, la presenza di una condizione ulteriore ai fini dell’invocabilità dell’ordine pubblico,che non è stata codificata dalla direttiva 2004/38. Per giustificare il proprio orientamento, la Corte si è richiamata al principio di non discriminazione. Allorché sussistano le condizioni per poter adottare una misura di espulsione,lo Stato membro può,in alternativa,ricorrere a provvedimenti meno severi,che costituiscano restrizioni parziali del diritto di soggiorno,giustificati da motivi di ordine pubblico;ciò è consentito anche quando provvedimenti identici non possano essere adottati nei confronti dei nazionali.

Tuttavia lo Stato membro, qualora intenda adottare un provvedimento di allontanamento,deve tener conto di una serie di circostanze,tra le quali la durata del soggiorno nello Stato ospitante,la situazione economica e familiare,l’integrazione sociale e culturale;tali circostanza possono far ritenere necessario consentire al cittadino dell’Unione di trattenersi nello Stato ospite(art.28). la direttiva prospetta cosi un bilanciamento tra esigenze di tutela dell’ordine pubblico e situazione personale del cittadino. Inoltre, coloro che godono del diritto di soggiorno permanente possono essere allontanati solo per “gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”; coloro,poi,che abbiano soggiornato per 10 anni o siano minorenni possono essere allontanati solo per “motivi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro”.

Le garanzie e i mezzi di ricorso nei confronti di provvedimenti restrittivi dell’ingresso e del soggiorno.

La direttiva 2004/38/CE richiede che ogni provvedimento sia notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che gli consentano di comprenderne il contenuto e le conseguenze;inoltre,il provvedimento deve indicare in modo circostanziato e completo i motivi che giustificano l’adozione della misura restrittiva. La Corte ha precisato che il documento deve essere redatto nella lingua conoscibile per lo straniero affinché egli possa rendersi conto del suo contenuto e dei suoi effetti,e che la comunicazione dei motivi deve essere sufficientemente dettagliata e precisa.

L’obbligo di motivazione del provvedimento ha infatti un carattere funzionale rispetto al diritto di proporre ricorso. Per agevolare l’esercizio di tale diritto il provvedimento deve altresì indicare l’organo al quale il ricorso può essere proposto,precisando anche il termine per l’impugnazione,che non può essere inferiore a 1 mese dalla notificazione. L’interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali o, all’occorrenza amministrativi,nello Stato membro ospitante al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico,pubblica sicurezza o sanità pubblica.

Il sistema di tutela è ulteriormente rafforzato dalla direttiva poiché essa richiede che i mezzi di impugnazione comprendano non solo l’esame della legittimità del provvedimento, ma anche quello dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. Quando l’impugnazione è accompagnata da una richiesta di sospensione dell’esecuzione del provvedimento, l’allontanamento non può di regola avere luogo finché non sia stata adottata una decisione sull’ordinanza provvisoria.

Dalla giurisprudenza della Corte risulta anche un limite circa gli effetti dei provvedimenti restrittivi del soggiorno;infatti qualora gli espulsi chiedano di accedere di nuovo nello Stato membro, la domanda,se presentata dopo un ragionevole periodo di tempo(almeno 3 anni),va esaminata dall’autorità amministrativa competente che dovrà valutare se sussistano ancora,in relazione al comportamento personale del soggetto,le condizioni di pericolosità che avevano giustificato nei suoi confronti l’adozione di provvedimenti fondati sulla tutela dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza.

Ne deriva,quindi,l’incompatibilità con obblighi dell’Unione di normative nazionali che prevedano in via generale effetti definitivi per l’espulsione,precludendo allo straniero la possibilità di rientrare nel territorio dello Stato. Laddove il provvedimento di allontanamento venga eseguito oltre 2 anni dopo la sua adozione, lo Stato membro è tenuto a verificare che la minaccia che l’interessato costituisce per l’ordine pubblico e per la pubblica sicurezza sia attuale e reale.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento