a) Le competenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (oggi, con l’espansione del Tribunale di primo grado, articolata in due segmenti, suddistinti per la competenza ma non per le funzioni) rendono possibile il controllo sulla legalità degli atti comunitari o sull’esecuzione da parte degli Stati membri dei loro obblighi discendenti dalla partecipazione al sistema comunitario: attuano il controllo giudiziario sull’esercizio dei poteri delle istituzioni comunitarie.
La problematica presenta peraltro anche un altro aspetto di carattere soggettivo: la protezione degli individui contro la violazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri (il tema verrà trattato in un capitolo distinto).
A partire da un certo periodo la Corte ha fatto proprio il principio della necessaria protezione degli individui contro qualunque violazione del diritto comunitario: quindi anche contro le violazioni imputabili agli Stati. Si veda la sentenza 3-XII-1992, causa C-97/91 (Oleificio Borelli) dove la Corte afferma (al p. 14): «Infatti, come la Corte ha rilevato in particolare nelle sentenze 15-V-1986 e 15-X-1987, l’esigenza di un sindacato giurisdizionale di qualsiasi decisione di un’autorità nazionale costituisce un principio generale di diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».
Ciò avviene, come vedremo, nel quadro e con i limiti delle competenze attribuite alla Corte.
Secondo l’art. 220 (già 164) “la Corte assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato” (il Trattato di Nizza ha attribuito questa funzione anche al TPG, l’uno e l’altro “nel quadro delle loro competenze rispettive”).
Questa norma si limita a caratterizzare la funzione della Corte (ha una funzione, si potrebbe dire, didascalica) ma non definisce il suo potere di giurisdizione. Richiesta di applicare le disposizioni dell’art. 220, la Corte ha spesso avuto modo di osservare che l’irricevibilità di un’azione generale fondata sull’art. 220 non dà luogo ad una lacuna, dovendo i ricorrenti far uso delle figure previste dal Trattato (azione di annullamento, ricorso in carenza): v. per es. 26-V-1982, causa 44/81, Raccolta, p. 1855.
Un’eccezione limitata è rappresentata dal caso Zwartveld. Il giudice istruttore del Tribunale di Groninga (Olanda), indagando su false scritturazioni effettuate dai responsabili del mercato del pesce fresco di un porto olandese in violazione delle prescrizioni comunitarie, era venuto a conoscenza di controlli effettuati da ispettori della Comunità e voleva esaminarli. Per questo presentò alla Corte di giustizia delle Comunità europee una «domanda di assistenza giudiziaria», alla quale la Commissione si oppose invocando il Protocollo sui privilegi e le immunità delle Comunità europee dell’8 aprile 1965; facendo valere altresì che la possibilità per i giudici nazionali di adire la Corte è disciplinata in via tassativa dall’art. 177 (ora 234) del trattato CE. Richiamandosi all’art. 164 (ora 220) del Trattato la Corte di giustizia ha dichiarato la domanda ammissibile (ord. 13-VII-1990, causa C-2/88, Raccolta, p. I-3365).
L’inesistenza di un rimedio generale costituisce un tuttuno con il fatto che nella configurazione presente la Corte non è una giurisdizione di tipo federale gerarchicamente sovrapposta alle giurisdizioni degli Stati membri ed avente tra i suoi compiti quello di assicurare, in caso di conflitto, il primato del diritto federale sul diritto degli Stati membri (Bundesrecht bricht Landesrecht): il compito di essa si attua piuttosto attraverso un certo numero di procedure legali, ben definite nei loro caratteri come pure nella individuazione dei soggetti legittimati a proporle, entro le quali devono inquadrarsi tutte le azioni giudiziarie che si vogliono intentare.
Il giudice comune del diritto comunitario, dato l’effetto diretto a questo riconosciuto, è il giudice nazionale. Per effetto della separazione tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale, le sue pronunce sono sottratte al controllo del giudice comunitario, restando affidato il coordinamento tra i due ordinamenti all’istituto non sempre, come vedremo, pienamente soddisfacente del rinvio pregiudiziale.
Le competenze della Corte sono obbligatorie per il solo fatto dell’entrata in vigore dei Trattati e non vi è bisogno, come avviene per le altre giurisdizioni internazionali, di un’accettazione da parte degli Stati.
Occorre nel medesimo tempo sottolineare che la Corte non è un tribunale arbitrale o una giurisdizione internazionale (distinta rispetto alle corti arbitrali per una decisiva maggiore speditezza di funzionamento), quali sono la Corte internazionale di giustizia o il precedente di essa, la Corte permanente di giustizia internazionale, le cui pronunce hanno effetto soltanto sul piano del diritto internazionale pubblico: le decisioni della Corte comunitaria si inseriscono nel diritto comunitario che è pienamente efficace all’interno degli Stati membri. Se pronunciate nei confronti di privati, hanno effetto esecutivo (artt. 244 e 256, già 187 e 192).
b) Oltre all’art. 220 (già 164) al quale la Corte ha talvolta fatto ricorso, come si è visto, ampliandone la formula in sé alquanto scontata, vi sono nel Trattato CE le seguenti prescrizioni di carattere generale: l’ 240 (già 183) per il quale «fatte salve le competenze attribuite alla Corte di giustizia dal presente trattato, le controversie nelle quali la Comunità sia parte non sono, per tale motivo, sottratte alla competenza delle giurisdizioni nazionali»; l’art. 292 (già 219) per cui «gli Stati membri s’impegnano a non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione del presente trattato ad un modo di composizione diverso da quelli previsti dal Trattato stesso» e l’art. 10 (già 5) che stabilisce l’obbligo di leale cooperazione.
– Dall’art. 240 si desume che al di là delle competenze enumerate e disciplinate dal Trattato, esistono casi nei quali la Comunità può essere parte nelle liti giudiziarie. Il principio dell’esenzione delle organizzazioni internazionali della giurisdizione quindi non vale in termini generali per la Comunità, che pure è un’organizzazione internazionale essendo stata creata con un trattato internazionale. Il principio è invece riconosciuto, in forza dell’art. 292 per la responsabilità extracontrattuale della Comunità (e se ne intende la ragione, perché, se non vi fosse l’esenzione, la Comunità si troverebbe esposta al pericolo di essere citata in giudizio, in modo vessatorio, in qualsiasi Stato membro).
– La riserva delle competenze della Corte contenuta nell’art. 240 è rafforzata dall’art. 292 che garantisce il carattere esclusivo della Corte prevenendo la possibilità che gli Stati membri si accordino per far decidere una controversia – relativa ad esempio ad una violazione del diritto comunitario o alla legittimità di un atto delle istituzioni comunitarie – da un proprio tribunale o si accordino tra di loro per deferirla ad un tribunale internazionale diverso dalla Corte.
Da questa norma discende anche, come abbiamo visto (sopra p. ) che le regioni italiane non potrebbero portare il nostro Stato avanti la Corte costituzionale per il solo fatto che l’Italia ha emanato una legge contraria al diritto comunitario. Competente a giudicare in proposito è solo la Corte di giustizia delle Comunità europee, attivata nei modi di cui agli artt. 226 e 227.
- All’obbligo di leale cooperazione dell’art. 10 («Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità») la Corte di giustizia ha fatto ricorso, particolarmente nella sua giurisprudenza più recente, per garantire i diritti dei singoli «nascenti dal diritto comunitario».
Le funzioni principali della Corte e/o del Tribunale di primo grado (che sarà trattato in maniera indistinta con la Corte) possono essere raggruppate come risulta dai paragrafi che seguono.
L’esposizione che segue si limita pertanto ai ricorsi diretti, ossia quelli nascenti da infrazioni al trattato commesse da Stati membri (nella CE: art. 226); quelli per annullamento, carenza o risarcimento di danni per illeciti commessi dalla Comunità; al procedimento di rinvio pregiudiziale; alle controversie tra la Comunità ed i suoi dipendenti.
c) La Corte decide le cause sottoposte ad essa applicando il diritto comunitario (trattati e diritto «derivato»). A causa delle lacune di questo o per altri specifici motivi (v. soprattutto l’art. 288 – già 215 – 2° co. CE) deve però spesso ricorrere ai «principi generali comuni agli Stati membri». Merita attenzione anche l’art. 230 (già 173), 2° comma, laddove prevede che il controllo di legittimità esercitato dalla Corte sugli atti comunitari riguarda i casi di violazione del Trattato ed anche «di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione».
d) L’importanza della Corte di giustizia è stata notevolissima: non soltanto per l’interpretazione ma anche per l’evoluzione del diritto comunitario e per la concezione stessa della Comunità. Si può dire che nell’inerzia delle istituzioni comunitarie (riconducibile al disinteresse o addirittura all’ostilità degli Stati membri per la Comunità da essi stessi creata) durata per tutti gli anni settanta e anche oltre, la Corte ha svolto un ruolo di «supplenza normativa» analogo a quello esercitato nei confronti del nostro Parlamento dalla Corte costituzionale con le sue sentenze «additive» (o «manipolative»), quelle cioè in cui la Corte costituzionale non valuta la costituzionalità di una disposizione scritta del nostro ordinamento ma piuttosto l’assenza di una disposizione che per logico sviluppo dei principi costituzionali dovrebbe esistere.
Tra le sentenze con cui la Corte ha fatto progredire l’integrazione comunitaria ricordiamo quelle nelle quali ha statuito la diretta riferibilità di norme del Trattato alle situazioni soggettive di individui, quelle nelle quali ha proclamato l’autonomia dell’ordinamento comunitario e quelle con le quali ha condotto la lotta alle «misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative» aprendo la strada ad una nuova concezione della Comunità sanzionata poi dall’Atto unico europeo (la concezione, vogliamo dire, per cui uno Stato membro non può impedire l’importazione di beni legalmente posti in vendita in altro Stato membro anche se non sono conformi alla propria legislazione).
Ripresa la marcia dell’integrazione, non sono però cessate le pronunce importanti della Corte, come la Foto-Frost che energicamente riserva alla Corte di giustizia il potere di dichiarare l’invalidità degli atti comunitari, o la Factortame che costringe lo Stato membro ad accordare misure cautelari per proteggere un diritto di origine comunitaria, o la Francovich che pone a carico dello Stato membro che ha omesso di recepire una direttiva la responsabilità patrimoniale per i danni sofferti dai privati. Da ultimo, con il caso Bosman, la Corte ha dimostrato di essere capace di penetrare in un santuario sino allora inviolato come l’organizzazione del calcio professionistico.
Come abbiamo parzialmente anticipato, per poter rendere queste decisioni, la Corte ha sfruttato le potenzialità insite soprattutto in due norme – l’art. 10 (già 5) e l’art. 220 (già 164) – che ad una lettura affrettata potrebbero apparire anodine o addirittura scontate.