I tributi e le norme tributarie

Le leggi tributarie non forniscono una definizione di tale tipo di entrata pubblica.

Contengono invece un implicito rinvio alle nozioni elaborate dalla Scienza delle finanze.

Il tributo è il prelievo di ricchezza effettuato coattivamente da un ente pubblico per il finanziamento delle proprie attività. Quindi esso è caratterizzato da tre elementi: uno soggettivo (la pubblicità dell’Ente impositore), uno strutturale (deve trattarsi di un prelievo coattivo), e uno funzionale (il prelievo deve essere determinato dall’esigenza del finanziamento della spesa pubblica). Però queste caratteristiche hanno un valore meramente indicativo, dato che l’assenza parziale di una di queste caratteristiche non pregiudica la configurabilità dell’entrata tributaria. Si pensi ad esempio al profilo pubblicistico dell’Ente impositore: in questo ambito è stata riconosciuta natura tributaria anche alle entrate di soggetti dal carattere pubblicistico più sfumato (i contributi ai Consorzi di Bonifica). All’interno della categoria dei tributi possiamo distinguere le imposte, le tasse e i contributi.

Le imposte sono i tributi giustificati dall’esigenza di coprire il costo dei servizi pubblici indivisibili (la difesa nazionale, l’ordine pubblico, ecc.); le tasse sono invece quei tributi che sono connessi al finanziamento di interventi pubblici divisibili e posti a carico dei relativi utenti (l’istruzione, la sanità); infine i contributi sono quelli volti al finanziamento di interventi pubblici che, pur essendo dettati da esigenze di carattere generale, avvantaggiano particolarmente determinate categorie di persone (i contributi di bonifica). Dal punto di vista giuridico, però non può attribuirsi alcuna rilevanza alla natura divisibile o indivisibile del bisogno da soddisfare. Pertanto, la distinzione tra tasse, imposte e contributi è ancorata alle caratteristiche del fatto al quale la legge ricollega l’obbligo tributario. Detto questo, le imposte sono i tributi al cui pagamento non fa riscontro alcuna immediata controprestazione in favore del soggetto obbligato (imposte sui redditi, sui consumi); le tasse, invece, sono i tributi il cui presupposto è costituito da attività rese dall’ente pubblico in favore del soggetto obbligato (tasse universitarie o scolastiche); mentre i contributi (o tributi speciali) costituiscono una categoria intermedia tra le tasse e le imposte, in quanto hanno dell’imposta il profilo dell’obbligatorietà e della tassa quello della correlazione ad un intervento pubblico che in maniera specifica riguarda i soggetti obbligati.

Le imposte costituiscono la categoria di maggiore rilevanza tra le entrate tributarie. Esse sono a loro volta distinte in due grandi sottocategorie: imposte dirette e quelle indirette. Sono dirette quelle imposte che colpiscono il reddito o il patrimonio dei contribuenti, in quanto la ricchezza che si possiede (patrimonio) e quello che si guadagna (reddito) costituiscono manifestazioni dirette di capacità contributiva; mentre sono indirette le imposte che colpiscono i trasferimenti e i consumi di ricchezza, in quanto costiuiscono manifestazioni indirette di capacità contributiva.

Le imposte sono suscettibili di un’ulteriore distinzione, ossia possiamo distinguere imposte proporzionali e quelle progressive. Questa distinzione è ancorata alla nozione di aliquota, che consiste nel rapporto percentuale, fissato dalla legge, tra l’ammontare dell’imposta dovuta e quello della base imponibile. Precisamente, sono imposte proporzionali quelle la cui aliquota non varia al variare dell’ammontare della base imponibile (ad esempio un’imposta del 10% su imponibili sia di 100 che di 1000); sono progressive, invece, quelle imposte la cui aliquota cresce all’aumentare della base imponibile (ad esempio un’imposta con aliquote del 10% sugli imponibili da 0 a 100, del 15% su quelli che vanno da 100 a200, ecc.). Nel primo caso, l’imposta aumenta proporzionalmente all’aumentare della base imponibile, mentre nel secondo caso, l’imposta aumenta più che proporzionalmente all’aumentare della base imponibile.

Sono diverse le tecniche attuative della progressività di un’imposta. Sono in astratto possibili sia la ed. progressività per dossi (dono le aliquote sono diversificate, e via crescenti, in relazione alle diverse classi nelle quali i contribuenti vengono suddivisi), sia quella per scoglioni (nella quale le aliquote sono diversificate in relazione ai singoli scaglioni nei quali la ricchezza dei singoli contribuenti può esser suddivisa).

Le finalità della progressività sono da ravvisare nell’intento di rispondere ad esigenze di ed. equità verticale, ossia nell’obiettivo di equiparare i sacrifici che i tributi arrecano alle economie dei singoli contribuenti.

Sono astrattamente possibili, ma meno frequenti nella prassi, anche le imposte fisse e quelle regressive: le prime sono quelle il cui ammontare non varia al variare dell’ammontare della base imponibile, mentre le seconde, sono quelle il cui ammontare decresce all’aumentare della base imponibile.

Una distinzione che riguarda esclusivamente le imposte sui redditi è quella tra imposte reali e quelle personali. Le imposte reali sono quelle che sono ancorate alle caratteristiche proprie delle singole fonti produttive di reddito ( e quindi al fatto che si sia in presenza di redditi fondiari, di capitali, ecc.) mentre le imposte personali sono quelle che sono ancorate alle specifiche situazioni soggettive dei singoli contribuenti, con particolare riferimento alla loro situazione personale e familiare. Tuttavia è necessario precisare che nella prassi è pressoché impossibile individuare imposte totalmente reali o totalmente personali, in quanto l’esigenza di garantire la tutela dell’equità sia verticale che orizzontale (per equità orizzontale si intende il soddisfacimento di esigenze di ed. discriminazione qualitativa dei redditi, per le quali si ritiene che i redditi provenienti dal patrimonio esprimano maggiore capacità contributiva, e possono quindi essere maggiormente tassati, di un corrispondente ammontare di reddito proveniente dal lavoro) fa sì che all’interno delle imposte personali a volte troviamo aspetti delle imposte reali e viceversa.

Le fonti del diritto tributario

Per quanto riguarda le fonti del diritto tributario, la Costituzione disciplina la materia tributaria in particolar modo agli artt. 23 e 53, dove sono sanciti i principi fondamentali della riserva di legge e della capacità contributiva.

La riserva di legge

L’art. 23 Cost. prevede che “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Quindi, le scelte di politica tributaria sono attribuite agli organi rappresentativi della collettività, ossia le scelte di politica tributaria spettano al legislatore. Per quanto concerne l’ambito di operatività, l’art. 23 a tutte le prestazioni personali e patrimoniali qualificabili come imposte. Però risulta molto difficile capire quando effettivamente si è in presenza di un’imposta. In merito, la Corte Costituzionale inizialmente concepiva una nozione molto restrittiva della prestazione patrimoniale imposta, affermandone la configurabilità solo in presenza di prestazioni imposte con atto di autorità a carico di una persona senza che la sua volontà vi abbia concorso. In tal modo la Corte limitava l’ambito operativo dell’art. 23 soltanto ad una parte dei tributi, con esclusione della categoria delle tasse. Successivamente, la Corte ha affermato l’irrilevanza della volontà del privato nel caso in cui la prestazione pecuniaria non si inserisce in un vero e proprio rapporto contrattuale. Infine, è giunta alla conclusione che la stessa fonte contrattuale del rapporto non costituisce un pregiudizio alla configurabilità di una prestazione patrimoniale imposta, quando tale prestazione è richiesta per servizi pubblici essenziali.

Oggetto di controversia è poi l’applicabilità dell’art. 23 Cost. alle esenzioni e alle agevolazioni fiscali. A questo quesito si tende generalmente a dare risposta affermativa, per il carattere derogatorio di tali misure. Si avrebbe quindi una sorta di efficacia indiretta della riserva di legge. Tuttavia a tale efficacia indiretta si potrebbe obiettare che le esenzioni e le agevolazioni fiscali sono forme di intervento pubblico aventi funzioni surrogatone delle sovvenzioni finanziarie, e pertanto si collocano al di fuori del campo delle discipline propriamente tributarie. Con la conseguente possibilità di ritenere costituzionalmente legittime leggi che in questo campo riservino alla P.A. ambiti di discrezionalità pressoché simili a quelli ammessi in materia di contributi pubblici.

Per quanto concerne l’intensità della riserva di legge ex art. 23 Cost., è evidente che l’espressione “legge” deve esser intesa in senso ampio, e comprensivo non solo della legge ordinaria, ma anche degli atti aventi forza di legge, quali il decreto legislativo e il decreto legge, in particolar modo, l’introduzione di norme tributarie viene frequentemente effettuata attraverso fonti normative di questo secondo tipo. In merito, l’esigenza di una drastica limitazione del ricorso al decreto legge ha trovato recentemente riscontro nello “Statuto del contribuente”, dove viene esclusa la possibilità del ricorso ad esso per l’istituzione di nuovi tributi o per l’estensione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti. Mentre rimane frequente il ricorso allo strumento del decreto legislativo per l’elaborazione dei testi normativi tributari. In tal modo vengono riconosciuti all’esecutivo importanti poteri normativi. Ciò è dovuto sia per il particolare tecnicismo della materia, sia per il particolare rilievo che le discipline tributarie assumono nel quadro complessivo della funzione di indirizzo politico. Altro punto controverso riguarda il fatto se le leggi tributarie regionali e le fonti normative comunitarie siano o no oggetto di riserva di legge ex art. 23 Cost. per quanto riguarda le leggi tributarie regionali, appare preferibile la tesi che ravvisa il fondamento della loro ammissibilità costituzionale nelle norme costituzionali che disciplinano i contenuti e i limiti delle autonomie regionali medesime. Mentre, per quanto concerne le fonti normative comunitarie, la loro diretta efficacia nell’ordinamento nazionale viene costituzionalmente giustificata in virtù dell’autolimitazione della propria sovranità che sarebbe stata validamente assunta a seguito della sottoscrizione del trattato internazionale. Il quesito più delicato che la riserva di legge solleva è quello relativo al rapporto tra fonti normative primarie e sub-primarie (regolamenti) nell’ambito della disciplina delle prestazioni patrimoniali imposte. In merito, la Corte Costituzionale ha affermato il carattere relativo della riserva di legge in questione, e la conseguente possibilità che la legge tributaria venga integrata e specificata, nei suoi aspetti tecnici, da atti normativi subprimari (regolamenti).

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