Un problema analogo non meno importante è sicuramente quello relativo all’individuazione del diritto oggettivo da applicare ai vari soggetti appartenenti all’impero, il quale si estende anche ai peregrini nullius civitatis.

Già nel II, III secolo d.C, viene a delinearsi un sistema relativo al diritto da applicare in Italia a romani e stranieri. Nonostante la sempre più profonda uniformazione tra il diritto onorario creato dal pretore urbano e quello derivante dall’editto del pretore peregrino, la differenza formale fra i due editti permane e gli stranieri sul piano del diritto onorario possono ancora far ricorso soltanto all’editto del pretore dalla cui giurisdizione dipendono.

Per quanto concerne il diritto civile, dobbiamo sottolineare come si riconducano ad esso alcune figure originarie del commercio internazionale e tutelate, in un primo momento, dal ius honorarium. Inoltre, sempre in riferimento allo ius civile, ricordiamo come è stata estesa agli stranieri la praticabilità di molte fattispecie civilistiche, prima riservate ai cives.

A questo discorso, si associa il dualismo tra ius civile e ius gentium: quando si parla di ius civile, in questo caso, si fa riferimento alla sua accezione in senso stretto, comprendente norme e istituti che si applicano soltanto ai cittadini mentre quando si parla di ius gentium, questa racchiude quelle norme e quelli istituti del sistema civilistico stesso che possono esser applicati anche ai peregrini.

A questa distinzione, nella giurisprudenza tardo-classica se ne può aggiungere un’altra, quella fra istituti e norme che si fondano sulla naturalis ratio e per questo si riscontrano fra tutti i popoli, prendendo il nome di ius gentium, e quella tra norme e istituti che sono propri di un singolo popolo o di singoli popoli.

Particolari problemi non si ponevano per le cause in cui entrambe le parti erano cittadini romani. In queste cause, si applicavano il diritto romano e quelle norme che venivano emanate con efficacia limitata alla singola provincia ma estesa a tutti i residenti nella stessa. Nelle cause fra cittadini romani e stranieri, invece, si applicavano lo ius gentium e quelle norme del diritto onorario concernenti i peregrini.

Molto si è discusso sulla situazione degli abitanti delle civitates romanae, in ordine alla loro autonomia normativa. E’ indubbio che sulla maggior parte di questi cittadini si applicasse l’ordinamento generale del populus Romanus. Dall’altra parte alle civitates spettava un potere regolamentare nell’ambito del quale potevano emettere regole di carattere generale e astratto. Il problema consiste ora nell’individuare i limiti di questo diritto. Con ogni probabilità, il potere normativo delle civitates Romanae si limitava a disciplinare le materie che rientravano nell’autonomia amministrative di queste città.

Il problema sarebbe diverso per le città di diritto latino, essendo i Latini dotati di una capacità giuridica diversa da quella dei cives Romani, essendo pur sempre degli stranieri ma caratterizzati da una condizione diversa da quella degli altri peregrini. Gli scrittori del II secolo d.C ritengono che al diritto latino fosse diverso da quello romano.

D’altro lato, ai municipes latini non si applicava il ius civile, nè nei rapporti fra di loro né in quelli con i cittadini romani. Per quanto riguarda i sudditi stranieri, dobbiamo distinguere fra peregrini alicuius civitatis, che godevano di un’autonomia cittadina,e peregrini nullius civitatis, gli abitanti dei territori amministrati direttamente dalle autorità romane. I primi godevano di un ordinamento giuridico proprio, che trovava applicazione negli organi giurisdizionali delle singole città.

Dal punto di vista dell’ordinamento giuridico, va ricordato come tutte le città di diritto straniero mantenessero l’autonomia normativa anche sotto il profilo della creazione di nuovo diritto, con modalità diverse a seconda del tipo di città, dato che per quelle autonome di fatto l’intervento delle autorità romane per impedire la messa in vigore di determinate normative era formalmente legittimo, mentre in quelle libere ciò era formalmente impossibile.

Vi è poi la possibilità che le autorità romane intervenissero ponendo norme che andassero ad incidere sull’ordinamento di una città autonoma. Un siffatto intervento non dava luogo a difficoltà per quanto concerne le città autonome di fatto, la cui autonomia è fondata sulla tolleranza delle autorità romane.

Problemi, invece, sorgono per le civitates liberae, in quanto tale intervento rappresenta una rottura della garanzia formale dell’autonomia delle città.

Nelle città straniere, i problemi non mancavano: essi sorgevano nel momento in cui i cittadini si rivolgessero, in appello o in primo grado, ad organi giurisdizionali o in relazione alla doppia cittadinanza.

Per quanto concerne la doppia cittadinanza, questa era particolarmente problematica. Mentre nelle poleis greche questa veniva ammessa senza alcun problema, nell’ordinamento romano, la cittadinanza romana non era cumulabile con quella di altre città, poiché il cittadino straniero che acquistava la civitatis romana perdeva quella d’origine, così come il cittadino romano che acquistava una cittadinanza straniera perdeva quella romana.

Nel corso del principato, l’atteggiamento delle autorità romane e dell’imperatore inizia a cambiare, soprattutto in relazione alla concessione della cittadinanza romana. Tale concessione serviva a legare al governo romano le elites di governo delle città straniere ed era quindi indispensabile che lo straniero che avesse acquistato la civitas Romana continuasse a poter prendere parte alla vita politica e sociale della sua città d’origine, proprio per garantire gli scopi perseguiti con siffatta attribuzione.

Un’epistula di Marco Aurelio agli ateniesi dimostra che, in grado di appello dinnanzi all’imperatore, ai cittadini delle civitates liberae si continuava ad applicare il diritto locale, sia che si trattasse di cittadini con la sola cittadinanza straniera, sia che essi possedessero anche la cittadinanza romana.

La questione si pone diversamente per gli abitanti di territori non autonomi, i quali erano soggetti al potere delle autorità romane. Ad essi si applicavano, senza dubbio, tutti i provvedimenti normativi che tali autorità prendevano nei loro confronti, sia che si trattasse delle norme del diritto provinciale, sia di norme emanate per regolare la posizione dei peregrini nullius civitatis.

A questi peregrini, tuttavia, le autorità continuavano ad applicare l’antico diritto locale o nazionale: a questo proposito, un esempio particolarmente significativo era fornito dall’Egitto romano, dove la maggior parte degli abitanti si trovava in tale condizione.

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