Tra il 31 e il 27, si affermò, in ambito politico, la cosiddetta tendenza al compromesso, la quale favorì la creazione di un nuovo equilibrio sociale, in cui si cercò di contemperare le esigenze degli equites e dei proletari e quelle dei senatori. Terminate le guerre con l’instaurazione della pace, Ottaviano, forte di un largissimo consenso sociale, cercò di restaurare la normalità nei vari settori della vita sociale e politica.

Tale normalizzazione fu condotta in modo del tutto esemplare:il risultato fu la nascita del regime augusteo. L’azione politica di Ottaviano, fu lenta e prudente ma estremamente abile. Egli e il suo gruppo affrontarono il problema costituzionale tenendo conto sia delle aspettazioni ideali e culturali, sia delle situazioni pratiche concrete. Che il problema non fosse facile è dimostrato dalla gradualità con cui venne affrontato e dalla riluttanza di Ottaviano ad abbandonare una reale posizione di potere finchè non fosse pronta una soluzione alternativa valida.

La sistemazione dell’Egitto è un caso molto significativo : Ottaviano,infatti,procedette in modo lento ma efficace.

L’Egitto rappresentava un situazione molto particolare, culla della cultura egizia ed ellenistica, a cui si stava per aggiungere quella romana. Con grande abilità, egli aggiunse l’Egitto all’impero del popolo romano in questo modo, esso riceveva un’amministrazione direttamente gestita dall’imperatore. Il suo governo venne affidato ad un funzionario di rango equestre, mentre ai senatori fu vietato l’accesso all’Egitto.

Tornando a Roma,il rapporto con il senato fu uno dei punti cruciali della politica di Ottaviano. Il divieto per i senatori di entrare in Egitto,rifletteva i sentimenti di diffidenza e di sospetto, che provava Ottaviano nei confronti del senato.

Subito dopo la morte di Antonio,il senato emanò tre senato consulti, con i quali si conferiva ad Ottaviano il ius auxilii,esteso oltre il pomerium: trattasi del potere di giudicare sugli appelli proposti contro atti di magistrati e il calculus Minervae, cioè il potere di integrare con un suo atto di grazia il voto mancante, per l’assoluzione di un reo, nel caso appunto in cui fosse necessario un solo voto.

Intanto venivano gettate le basi per un nuovo ordinamento : quello repubblicano era ormai agli sgoccioli. Ben presto Ottaviano raggiunse il suo obiettivo: quello di avere un corpo più omogeneo e più malleabile agli sviluppi della sua nuova politica. Da questo corpo, egli si fece chiamare princeps, assumendo il praenomen di Imperator, un titolo significativo e alquanto autoritativo che segnava la demolizione del vecchio ordinamento.

Il problema fondamentale di Augusto era quello di tradurre in forme costituzionali il suo formidabile potere. Il bienni 28-27 a.C fu dedicato a tale scopo. Indubbiamente questi anni rappresentano un momento di svolta nel sistema di ingegneria costituzionale.

Con ogni probabilità, già nel 28, cominciò il processo di normalizzazione, per poi giungere al 27, con cui venne adottata la nuova sistemazione costituzionale. Fondamentali, a questo riguardo, risultano essere le sedute del 13 e del 16 gennaio del 27, con cui venne a definirsi l’auctoritas di Ottaviano.

L’auctoritas era un arcaico concetto giuridico e sacrale, che esprimeva perfettamente la posizione del nuovo princeps all’interno dello stato. Al fine di poter parlare di una restaurazione della repubblica, Augusto cercò di restituire al governo alcune forme repubblicane, come i comizi e le elezioni dei magistrati.

Assecondando spesso la volontà dei senatori, inoltre, Augusto nel contempo cercava di vanificarne i massimi poteri effettivi, creando nel27 il consilium principis, una commissione preposta all’esame e alla discussione di quanto avrebbe costituito oggetto dei lavori dell’assemblea, che in tal modo poteva essere chiamata soltanto a ratificare le deliberazioni prese nel più ristretto concesso egemonizzato dal princeps.

La vera e propria svolta per il principato si presentò nel 23, quando depose il consolato ed assunse l’imperium proconsulare su tutto l’impero. Come ci raccontano le fonti, tale imperium fu infinitum et maius, nel senso di privo di qualsiasi limitazione spaziale e superiore a quello dei proconsoli nelle province.

Successivamente, Augusto assunse la tribunicia potestas, con cui non diveniva tribuno della plebe ma finiva per assumere tutta la potestas dei tribuni; come i veri tribuni, egli poteva far votare plebisciti con valore di legge, convocare il senato, usare il diritto di veto.

Imperium proconsulare e tribunicia potestas, dunque, finirono per rappresentare i pilastri portanti del principato.

Abile com’era, Augusto non aveva bisogno di altri poteri: rifiutò così la dittatura diverse volte e assunse, solo in circostanze particolari, il consolato.

Fondamentale, a questo punto, risultava essere la ridefinizione dei poteri con il senato. Compito tutt’altro che semplice, data la natura poco definita del senato, legato in maniera rigorosa al vecchio ordinamento e restio a limitare le proprie prerogative.

Augusto, da buon mediatore politico, seppe conservare al senato funzioni e prerogative che da sempre lo caratterizzavano, come ad esempio il potere d’investitura, consistente nella designazione del princeps nonché quello di ratificare legalmente la scelta.

Furono assai rari i casi in cui il senato intervenne nella scelta del princeps. Il ruolo del senato, in un certo senso, fu durante il principato, tutt’altro che marginale, nel senso che il senato collaborò con il princeps nella gestione quotidiana dello stato,fu mantenuto costantemente informato delle problematiche dello Stato ed intervenne più volte nell’approvazione formale degli atti del principe.

Per il princeps, dunque, il problema non stava tanto nel diminuire in assoluto i poteri del senato ma di controllarlo e di volgere i suoi poteri ai fini della propria politica. Anche gli stessi senatoconsulti, che rappresentavano un efficace strumento legislativo nelle mani del senato, finirono per divenire delle semplici ratifiche formali di provvedimenti del principe e del suo consilium, andando fortemente a limitare l’autonomia stessa del senato; autonomia e indipendenza di cui quest’organo godeva in precedenza.

La creazione di una vera e propria amministrazione è opera del principato. Venne gestita dall’ordine equestre anche se il senato mantenne un ruolo effettivo, seppur modesto e poco conosciuto. Al senato, venne lasciato il potere di coniare la moneta enea, di amministrare il tesoro dello stato, di gestire la cassa speciale, con cui venivano ricompensati i veterani al loro congedo.

Inoltre, vennero affidate all’autorità eminente ma non esclusiva del senato le province senatorie: trattasi di province molto importanti sotto il profilo economico e militare, per mezzo delle quali il senato esplicava in tutta la loro pienezza poteri giurisdizionali e amministrativi.

Quello tra il principe e i senatori, in un certo senso, finisce per configurarsi come un rapporto tutt’altro che speciale: più che il senato, come si è potuto vedere, sono i senatori a partecipare al governo dello stato. Forte è la loro dipendenza nei confronti dell’imperatore: da lui, dipende il loro ingresso in senato e il procedere stesso della loro carriera; inoltre, il senato stesso era troppo debole per poter organizzare un’opposizione ferrea ed efficace nei confronti del princeps.

Per cercare di comprendere la sostanza del rapporto fra il principe e il senato sotto Augusto occorre considerare in concreto la composizione di tale organo e fermare l’attenzione sulle tre lectiones del senato che Augusto stesso dichiara di aver adoperato.

– La prima di tali revisioni ha comportato la rimozione di un non trascurabile numero di senatori

– La seconda revisione, invece, riguarda le modalità di composizione del senato e ha come oggetto la scelta, da parte di Augusto, di trenta membri dell’assemblea: successivamente, ognuno di essi avrebbe dovuto scegliere cinque nominativi e, una volta avuti a disposizione ben 150 nominativi, si sarebbe proceduto al sorteggio di 30 di questi, che sarebbero andati a comporre il senato stesso. Attraverso analoghe operazioni, che prendevano le mosse dalla scelta di 5 nominativi da parte di ognuno dei nuovi eletti, si sarebbe raggiunto il numero complessivo di 600 senatori.

– Infine, la terza revisione fissò i requisiti fondamentali per poter far arte del senato: oltre al requisito base di un censo pari ad un milione di sesterzi, risultava essere necessario aver ricoperto almeno una magistratura e possedere un’età non inferiore ai 25 anni.

Continuava, tuttavia, ad essere praticata l’adlectio, vale a dire la scelta di un cittadino indipendentemente dal fatto che avesse rivestito una delle magistrature considerate necessarie.

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