Il principato era indubbiamente un’abile sintesi di forme repubblicane e di sostanza monarchiche.

Lo stesso Augusto era un magistrato che nella sua stessa persona cumulava più magistrature e più poteri di quanto mai avessero fatto altri prima di lui. Va poi sottolineato come l’auctoritas in sé poneva Augusto al di sopra degli altri magistrati dello stato romano da un punto di vista meramente costituzionale.

Si poneva, a questo punto, il problema della trasmissione del potere, della successione dinastica.

La successione era di per sé un problema davvero difficile da affrontare:di norma l’accesso al trono di più della metà degli imperatori del principato si svolge all’interno di un quadro dinastico sul presupposto di un’eredità naturale o fittizia.

Risulta quindi essere evidente che, nella prassi, il principio dinastico era determinante nella scelta del futuro imperatore

Tuttavia, da un punto di vista politico, si trattava di trovare una giustificazione teorica alla prassi; e l’ideologia dell’adozione si rivelò adatta allo scopo. L’adozione, infatti, rappresentava un importante strumento nella lotta politica. Con l’adozione, nelle famiglie più facoltose si trasmetteva in eredità potenza economica e potenza politica, vincoli gentilizi e parentele, legami politici e clientelari.

Politicamente parlando, l’adozione trasmetteva un’eredità spirituale: essa assicurava una filiazione spirituale valida, più accetta di quella per sangue, nella mentalità senatoria. Riassumendo, dunque, da un punto di vista del diritto privato, la filiazione dinastica assicura una trasmissione patrimoniale, mentre da un punto di vista politico, trasmette la vocazione all’investitura da princeps.

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