La vasta discrezionalità inerente alle cognitiones, che consentiva al giudicante di adeguare la sanzione alla gravità del fatto e alla pericolosità del reo, diede luogo ad un sistema punitivo complesso e articolato; difatti le pene si moltiplicarono e furono inasprite, tanto che per molti delitti fu sancita la pena di morte.

Oltre alla decapitazione, le fonti ci presentano una gamma di sanzioni assai vasta, tra cui la crocifissione, l’esposizione alle belve nell’arena, la vivicombustione, inflitte per i crimini di maggior gravità o commessi da persone appartenenti alle classi sociali più umili.

Accanto a queste sanzioni, le fonti ne menzionano delle altre che ponevano a repentaglio la vita ed erano quindi assimilate alle pena recanti la morte. Tali la condanna ai lavori forzati nelle miniere, ai servizi nelle miniere, all’esecuzione coattiva di opere pubbliche, ad esibirsi nel circo come gladiatori, a combattere contro le fiere o la condanna alla deportazione, con perdita della cittadinanza e dei beni.

L’irrogazione di pene privativa della vita o della libertà poneva il condannato nella condizione di «servo della pena»: egli era privato di ogni capacità giuridica, il suo matrimonio si scioglieva, i suoi beni venivano confiscati, gli era tolto il diritto di ricevere e di disporre per testamento. Solo un provvedimento restitutorio generale del principe poteva farlo tornare nella situazione in cui si trovava prima della condanna.

La cognitio conosceva poi altre pene, meno severe, che non comportavano la perdita immediata della vita né la sua sottoposizione a diretto pericolo. Di notevole importanza era la relegazione, consistente nel confinamento su un’isola o in un’oasi del deserto, ovvero nel divieto di residenza in determinati luoghi. A differenza della deportazione, la relegazione poteva essere temporanea e non faceva perdere né la cittadinanza né i beni.

Vi erano poi alcune sanzioni corporali, spesso accessorie, come il percuotimento con i bastoni o con le sfere. Carattere accessorio aveva di regola anche la confisca del patrimonio.

La reclusione non aveva carattere di pena ma funzione preventiva di custodia dell’imputato. Ciononostante si è soliti ritenere che in ambiente provinciale il carcere fosse usato su larga scala anche come pena.

Rilevante era inoltre, al fine della graduazione delle pene, la condizione sociale del reo. Il trattamento dei condannati era diverso a seconda che si trattasse di cittadini delle classi elevate o di appartenenti agli strati inferiori della popolazione. A meno che non si trattasse di reati di particolare gravità, la tendenza era quella di risparmiare la pena di morte alle persone aventi almeno il rango di decurioni. Questi ultimi erano altresì esentati da alcune pene ritenute ignominiose, come la crocifissione.

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