Il codice del 1930 risulta essere saldamente ancorato al primato della pena detentiva, accanto alla quale quella pecuniaria ricopre un ruolo soltanto marginale. Le pene previste nel codice, comunque, si distinguono in:

  • pene principali (art. 17), inflitte dal giudice con sentenza di condanna, le quali, a loro volta, si distinguono in:
    • per i delitti, l’ergastolo, la reclusione e la multa.
    • per le contravvenzioni, l’arresto e l’ammenda.
    • pene accessorie (art. 20), che conseguono ex lege dalla condanna.

Due sono le pene pecuniarie riconosciute nel nostro ordinamento:

  • la multa, che consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 5 nĂ© superiore a 5164 (art. 24 co. 1). Ai fini generalpreventivi la l. n. 689 del 1981 ha conferito al giudice il potere, nel caso di delitti determinati da motivi di lucro dalla legge puniti con la sola reclusione, di aggiungere la multa da euro 5 a 2065 (co. 2).
  • l’ammenda nel pagamento di una somma non inferiore a euro 2 nĂ© superiore a 1032 (art. 26).

Tali pene possono essere edittalmente determinate, oltre che col criterio normale del minimo e del massimo edittale, anche in misura fissa, oppure, senza limite massimo, in misura proporzionata al valore o alla quantità dell’oggetto del reato (art. 27).

 La commisurazione della pena in concreto avviene secondo il sistema della somma complessiva, in cui si tiene conto della gravità del reato, della capacità a delinquere del reo e delle sue condizioni economiche. Oltre che considerare le condizioni economiche del reo per la commisurazione della pena pecuniaria, il giudice può aumentare la stessa fino al triplo, quando per le condizioni economiche del reo la misura massima sia ritenuta inefficace, oppure diminuirla fino ad un terzo, quando la misura minima appaia eccessivamente gravosa (art. 133 bis). Il giudice, sempre in considerazione delle condizioni economiche del condannato, può disporre che la multa o l’ammenda venga pagate in rate mensili da tre a trenta euro, non inferiori ciascuna a quindici euro (art. 133 ter co. 1), salva la facoltà del condannato di estinguerla in ogni momento con un unico pagamento (co. 2).

Il punto critico del sistema, tuttavia, viene ravvisato nell’automatica conversione (art. 136) della multa e dell’ammenda, in caso di insolvibilità del condannato, rispettivamente nella reclusione e nell’arresto, secondo un ragguaglio operabile nella proporzione indicata dall’art 135, ossia calcolando euro 38 di pena pecuniaria per ogni giorno di pena detentiva.

 Introducendo un nuovo sistema di conversione, la l. n. 689 del 1981 ha sancito:

  • la conversione della multa e dell’ammenda, non eseguite per insolvibilitĂ  del condannato, nella pena della libertĂ  controllata per un periodo massimo, rispettivamente, di un anno o di sei mesi, oppure la convertibilitĂ , a richiesta, nella pena del lavoro sostitutivo.
  • il ragguaglio tra le suddette pene, calcolando euro 38 di pena pecuniaria per ogni giorno di libertĂ  controllata e euro 25 per ogni giorno di lavoro sostitutivo.
  • la facoltĂ  di far cessare la pena sostitutiva pagando la pena pecuniaria, dedotte le somme corrispondenti alla durata della pena sostitutiva scontata.
  • il limite massimo, in caso di concorso di pena pecuniarie da convertire, della durata complessiva della libertĂ  controllata, che non può superare i 18 e i 9 mesi a seconda che la pena convertita sia la multa o l’ammenda, e del lavoro sostitutivo, che non può superare i 60 giorni.
  • la conversione ulteriore della restante parte della libertĂ  controllata e del lavoro sostitutivo in egual periodo di reclusione o di arresto, quando il condannato violi anche una sola delle prescrizioni inerenti alla pena sostitutiva.

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