La patria potestas

Il paterfamilias aveva uguale potere nei confronti del filius e dello schiavo, perché la libertas e la civitas di cui godeva il filius, non avevano importanza. Solo alla morte del paterfamilias si avvertiva la differenza, poiché il filius diveniva sui iuris e lo schiavo passava sotto la potestas dell’erede. Il paterfamilias, per molti aspetti, trattava le persone sotto la sua potestas alla stregua di res. Vi era quindi una forte analogia tra l’esercizio della proprietà e della patria potestas.

Un aspetto fondamentale però differenzia la potestas familiare dalla proprietà sulle cose: la patria potestas è infatti inestinguibile e intrasmissibile. Infatti, la mancipatio di una res mancipi trasferisce all’acquirente lo stesso potere che aveva sulla cosa l’alienante; invece se il pater fa la mancipatio di un filiusfamilias, l’acquirente non acquista la patria potestas, poiché il filius si viene a trovare in causa mancipi.

Alle origini, il potere del pater sui discendenti non conosceva limiti sul piano del diritto privato. Il ius vitae ac necis incontrava vincoli di carattere sacrale. Con la progressiva laicizzazione della società, questi vincoli caddero in disuso, sostituiti dal controllo diretto da parte dello stato.

Per quanto riguarda i rapporti di natura personale, i discendenti hanno capacità matrimoniale, e concludono personalmente il matrimonio, con l’assenso del pater stesso.

Il filiusfamilias era incapace dal punto di vista patrimoniale.

Più in avanti si riconobbe ai figli maschi la possibilità di obbligarsi per il ius civile e per il ius honorarium, e gli effetti ricadevano nella loro sfera giuridica. La capacità di obbligarsi dei filifamilias fu poi limitata da Vespasiano il quale emanò una legge secondo la quale non potevano essere concessi prestiti in denaro ai figli, a meno che il pater non si fosse impegnato direttamente.

Con Augusto viene introdotto il peculium castrense, cioè la piena capacità giuridica sui dei beni acquistati dal filiusfamilias durante il servizio militare.

A difesa della patria potestas si usava la legis actio sacramento in rem e l’actio in rem per sponsionem.

Acquisto e perdita della patria potestas

Il padre acquista la patria potestas sul figlio nato da iustum matrimonium. I nati fuori dal matrimonio, sono sin dalla nascita personae sui iuris.

La patria potestas si acquista poi mediante adrogatio, adoptio e conventio in manum.

La adrogatio ha per oggetto un altro paterfamilias e si svolge per assicurare la perpetuazione di una famiglia, sia a fini socio-economici, sia per fini sacrali. L’adrogatio era negata a chi avesse già dei discendenti, a chi non avesse compiuto ancora 60 anni e a chi fosse più giovane della persona che voleva arrogare. L’arrogatore acquistava la potestas sull’arrogato e per l’arrogato cessa qualsiasi rapporto di parentela civile, nella nuova famiglia egli va ad assumere la stessa posizione di un filius.

L’adoptio in senso stretto trasferiva un filiusfamilias dalla potestas di un pater a quella di un altro pater. Essendo la patria potestas inestinguibile e intrasmittibile le XII Tavole stabilirono che il pater, alienando un figlio per tre volte, perdeva la potestà su di lui. A questo punto entrava in scena il padre adottivo, che con una decisione del pretore aveva quindi il riconoscimento della patria potestas.

Potevano adottare solo i soggetti che fossero liberi, cittadini, puberi e di sesso maschile.

Si poteva adottare qualsiasi persona alieno iuri subiecta, sia maschio che femmina a patto che l’adottato fosse più giovane del padre adottivo.

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