Il problema dell’influenza della “codificazione” delle clausole edittali sull’autonomia interpretativa dei giuristi ha certamente importanti implicazioni nella questione generale se dopo la svolta adrianea la produzione del diritto cessi di esser casistico-giurisprudenziale, per avvicinarsi ad un “sistema normativo” che verifichi anche se l’interpretazione dei prudentes divenga “ricogniva”, più consona ad un ordinamento di questo tipo ovvero se l’accentramento imperiale non produca questo mutamento. Secondo Vacca appare difficile una subordinazione dell’interpretatio prudentium al potere normativo del Principe: questo perchè siamo in quell’epoca davanti ad un’impossibilità tecnica di concepire l’attività dei giuristi come subordinata alle norme. Di conseguenza il potere imperiale dava diversa legittimazione all’attività dei giuristi, fino a istituzionalizzarne il ruolo e farne gli interpreti ufficiali del nuovo diritto. Tuttavia le soluzioni dei giuristi non potevano esser vincolate dal potere imperiale, per motivi concreti (esempio: la sporadicità delle norme legislative) e motivi intrinseci al “metodo casistico” dei giuristi. Vacca nota come l’interpretatio comporti l’autonomia dei giuristi nella “diagnosi” dei casi ed elementi giuridicamente rilevanti e ciò era incompatibile con l’idea di legge come unica fonte del dir, anche in età adrianea e postadrianea: ragion per cui l’attività prudenziale complementa ed integra l’attività normativa.

D.1.3.12Tuttavia nelle analisi di Salvo Giuliano in materia d’interpretazione di leggi sembra proprio trovarsi l’idea che l’interpretatio si sottragga alle limitazioni conseguenti all’accentramento della funzione normativa nelle mani del Principe. In particolare si evince che l’applicazione analogica è un criterio il cui uso può esser indicato come necessario per chi esercita attività giurisdizionale (che deve ius dicere in modo uniforme nei casi simili) ma non per il giurista (che deve invece determinare la ratio della norma, i casi in cui si deve/nondeve applicare, i casi che si possono considerare “simili” a quelli espressamente regolati (p.49[i], tradotto sotto): Giuliano rileva che nelle leggi/senatoconsulti non si possono comprendere tutti i punti che possono venir in controversia, ma quando in relazione ad una certa situazione concreta risulta chiaro il loro significato giur, chi ha giurisdizione si deve attenere nei casi simili e ius dicere in conformità. Si afferma quindi la regola per il magistrato di attenersi a leggi/senatoconsulti per casi espressamente previsti e per casi simili (uniformità quindi). In pratica da Giuliano si evince che dato che le norme non possono di per se prevedere dettagliatamente tutti possibili casi concreti (la cui soluzione sia riferibile alla stessa ratio), è dovere di chi applica il diritto estenderne l’applicazione ai casi simili (questo è il criterio generale imposto dal “presupposto teorico” dell’incompletezza dell’ordinamento normativo).

Secondo Vacca, il criterio di estensione “ad similia”, se si intende come “metodo interpretativo logico-scientifico” (oltre che come “norma di applicazione”), non è rapportabile col criterio analogico. Infatti ricorrere all’analogia vuol dire presupporre che l’interprete riferisca ad una situazione non prevista le conseguenze proprie di una situazione prevista in ragione dell’individuazione di un quid comune tra la situazione astrattamente prevista e quella concreta (questa valutazione può farsi solo valutando il fine della la norma e la sua ratio. Oltre ciò l’applicazione analogica di una norma all’interno di un ordinamento il cui ricorso alla legge costituisce intervento saltuario, chiamato a regolare solo una certa materia, comporta che questa applicazione necessiti di attività di interpretatio che ne individui la ratio, sia in rapporto alla materia regolata, sia in rapporto ai nuovi casi concreti e in rapporto alla ratio dell’ordinamento. Se ci si trova invece in un ordinamento “normativo”, non ci sarà bisogno dell’interpretatio). Alla luce di ciò il magistrato applicherà la norma ad similia, solo se la norma sia chiara.

D.1.3.10. In questo altro testo si nota ancora che leggi e senatoconsulti non possono, per la loro struttura formale, prevedere analiticamente tutti i casi che in concreto potranno verificarsi. (p.54,l, traduzione prossima)

Questa enunciazione giulianea è interpretata da Vacca in modo che leggi/senatoconsulti, non potendo esser formulati in modo da prevedere i casi che in concreto si verificano, è sufficiente contengano una precisione indicativa dei casi più frequenti nella pratica: in pratica per Vacca si vuol sottolineare ancora l’incompletezza delle singole norme.

D.1.3.10 (l.p.55). In questo testo emerge che la + precisa individuazione del campo di applicazione delle norme di nuova formulazione deve avvenire con 2 modi di produzione del dir: interpretatio prudentium e constituitio imperiale.

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