Le fonti ammettono l’esistenza di leggi scritte fin dall’età regia: e infatti sono giunti a noi i frammenti di una lex sacra, la famosa iscrizione del Niger Lapis, che regolava le funzioni del rex e del kalator (l’araldo) nel corso di una o più cerimonie religiose.

Si trattava di testi poco numerosi e non collegati in un sistema. In sostanza la giustizia era amministrata secondo norme consuetudinarie tramandate oralmente nell’ambito delle gentes patrizie e la situazione consentiva, dapprima al re, poi ai magistrati supremi della Repubblica, un largo margine di arbitrio. Le prime richieste per la redazione e la pubblicazione di un corpus di leggi sono presentate come un tentativo di limitare l’imperium dei consoli.

Si racconta che nel 454 fu raggiunto un primo compromesso fra patrizi e plebei, il cui risultato fu l’invio ad Atene di alcuni senatori incaricati di studiare le famose leggi di Solone. All’inizio del 451 fu eletto, ed entrò subito in carica, un collegio di 10 «legislatori».

Sul breve periodo del decemvirato,451-449 a.C., alcune notizie possono considerarsi attendibili; altre appaiono almeno probabili; altre ancora sono frutto di tarde rielaborazioni.

a) Tutti i critici moderni ammettono che nel 451, dopo anni di aspri contrasti, siano stati eletti 10 uomini, i decemviri legibus scribundis, col compito di redigere e pubblicare un corpus di leggi destinato a raccogliere le norme consuetudinarie tramandate oralmente da tempo immemorabile.

I decemviri, tutti patrizi, ebbero pieni poteri militari e civili, poiché furono sospese tutte le magistrature ordinarie nonché l’elezione dei tribuni e degli edili plebei. Da ciò si può desumere che il decemvirato sia stato il frutto di un accordo fra patrizi e plebei e che la stessa codificazione del diritto era stata voluta soprattutto dalla plebe.

L’importanza della legislazione decemvirale risiede nella stabilità normativa e nella pubblicità ottenute grazie ad un testo ufficiale che, per la prima volta a Roma, garantiva la certezza del diritto a vantaggio dei più deboli: della plebe innanzitutto e poi di quella parte del patriziato che, convinto dalle vicende della lotta politica, condivideva la richiesta di leggi scritte per la comunità.

L’enunciazione esplicita di norme note a tutti costituiva un condizionamento obiettivo al potere sino ad allora esercitato senza alcun limite formale certo dai magistrati che detenevano la direzione del governo ed erano espressione di ristretti gruppi oligarchici, tesi ad imporre la loro egemonia non solo ai plebei, ma anche alle genti patrizie avverse.

Pertanto l’istituzione della magistratura decemvirale rappresentò una rottura radicale della forma civitatis, cioè dell’antico assetto delle istituzioni giuridiche e politiche cittadine, così come il precedente passaggio ai consoli dai re.

b) È probabile che i decemviri, o alcuni di essi, esaltati dall’ampiezza dei loro poteri, abbiano preteso di rimanere in carica dopo la scadenza del mandato, commettendo arbitrii e soprusi, e siamo stati abbattuti con la forza dopo una rivolta dell’esercito e una secessione della plebe sull’Aventino.

La rivolta di cui parla la tradizione non può però essere stata un movimento esclusivamente plebeo; difatti la plebe del V sec. non aveva la forza di rovesciare un governo. L’iniziativa fu presa, invece, da alcune genti patrizie, guidate dai Valeri e dagli Orazi, che riuscirono a trascinare al proprio seguito la moltitudine, ribaltando la precedente alleanza stabilitasi tra la plebe e la fazione guidata dai Claudi.

In questo quadro, diventa credibile che Valerio Potito e Orazio Barbato, assunto il potere, da supremi magistrati, dopo la caduta di decemviri, nel 449, abbiano adottato alcuni provvedimenti favorevoli ai plebei, noti come «leggi Valerie-Orazie», il cui valore giuridico e la cui portata sono molto incerti e controversi.

Le fonti parlano di tre distinte le leges:

1) de plebiscitiis: avrebbe riconosciuto alle deliberazioni dell’assemblea efficacia vincolante x tutto il popolo. Questa prima legge dette validità costituzionale alle elezioni dei magistrati plebei effettuate dai loro concilia.

2) de provocatione: avrebbe ripristinato la garanzia costituzionale della provocatio ad populum, vietando la creazione di magistrati esenti dalla provocazione.

3) de tribunicia potestate: avrebbe riaffermato l’inviolabilità personale dei tribuni plebis, sancita da tempo dalla plebe stessa che ne aveva dichiarato sacrosancta la potestà, stabilendola consecratio (abbandono agli dei) del violatore, che, perciò, poteva essere ucciso impunemente da chiunque.

Questa legge dava efficacia vincolante per tutto il popolo ad una protezione sino ad allora fondata su di un’autonoma disposizione plebea, quindi agiuridica per i patrizi.

c) Si narra che nel 450 a.C. il collegio decemvirale sia stato quasi totalmente rinnovato: dei primi decemviri sarebbe rimasto in carica il solo Appio Claudio. Mentre il primo collegio comprendeva i più eminenti senatori, al secondo vengono ascritti alcuni personaggi oscuri, o addirittura plebei.

Tale versione è totalmente infondata; non è possibile che nelle medesime circostanze lo stesso corpo elettorale abbia seguito nella scelta dei magistrati criteri opposti. Inoltre, nel 450, la plebe non aveva la possibilità di accedere alle cariche più alte: l’avrebbe conquistata circa 80 anni dopo, a prezzo di dure lotte.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento