Le organizzazioni “non profit” sono enti non commerciali che, senza scopo di lucro, si dedicano ad attività socialmente rilevanti nella sfera culturale, assistenziale, della ricerca, della sanità e della salvaguardia dell’ambiente. Esse si distinguono dagli enti “no profit” nei quali vie la totale assenza di profitto, mentre negli enti “non profit” il profitto può o deve, a seconda dei casi, essere presente, ma non deve in nessun modo essere distribuito tra la compagine dei soci bensì essere reinvestito nelle finalità dello statuto dell’ente. D’altro canto è anche sbagliata l’identificazione del termine “non profit” con il volontariato, identificazione che non tiene conto della forte valenza economica ed occupazionale che questo settore possiede.

Per gli enti non profit è stato adoperato anche il termine “terzo settore”, perché tali enti sono distinti sia dal settore pubblico (che persegue finalità socialmente utili) che dal settore privato (che rappresenta il mercato). Il termine “terzo settore” non ha però carattere residuale, cioè non ricomprende tutti quei settori che lo Stato non riesce a coprire o per i quali il mercato non abbia interesse: tant’è vero che il non profit non solo incide sul mercato, ma vive a stretto contatto con lo Stato che ne finanzia le attività. Esso indica semplicemente un’area che pur operando al di fuori del settore pubblico persegue comunque interessi pubblicistici.

La nascita di questo settore trova fondamento nella crisi dello Stato sociale degli anni 70, in cui interventi umani e solidali, prescindendo dalle istituzioni, giunsero alla soluzione di problemi assistenziali. In forza di questo fenomeno fu via via delegata ad organizzazioni private la cura di interessi collettivi, attribuendo alle stesse come incentivi privilegi e immunità fiscali, nonché contributi finanziari, attraverso una serie di provvedimenti legislativi ( Leggi 266/91, 381/91,460/97).

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