Disegno politico di una programmazione economica generale, in particolare la riforma Vanoni

Per l’attuazione di un piano economico l’art.41 prescrive lo strumento della legge, tuttavia spesso non garantisce risultati soddisfacenti, per sui, sebbene non sia prospettabile l’uso di un decreto legge, è ammesso l’atto politico (deliberazione di un organo di governo) per il quale vige la libertà di forma e di procedura ed una violazione determina la mera sfiducia al Governo.

Negli anni si sono susseguiti una serie di tentativi di programmazione globale.

Riforma Vanoni. Essa era costituita da uno schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito nel periodo 1955-64 presupponendo una crescita annuale del reddito pari al 5%. I pubblici poteri avrebbero svolto un’attività di impulso e condizionamento dell’iniziativa economica privata per il perseguimento del benessere socio-economico della collettività e i settori coinvolti erano i più vari, dall’agricoltura alle opere pubbliche. I mezzi per il perseguimento di tali scopi erano sostanzialmente le infrastrutture, gli incentivi e la politica fiscale e creditizia. Tuttavia si rivelò essere uno schema teorico e deludente, che fu poi usato per programmi e piani regionali delle regioni più arretrate (es° Ministero dei Lavori pubblici in Campania e Molise o Ministero dell’Industria in Umbria, ma anche questi furono deludenti per la carenza di una programmazione generale, si un ordinamento regionale compiuto, per la genericità degli obiettivi e l’inadeguatezza degli strumenti operativi).

La politica di programmazione e l’intervento pubblico

Dopo la Riforma Vanoni vennero varati numerosi piani settoriali ad opera di Enti ed Istituzioni.

1) Nota aggiuntiva di Ugo La Malfa (1962). Egli sottolineò la necessità di una politica di interventi a favore dello sviluppo del mezzogiorno e di una programmazione regionale con carattere globale e settoriale.

2) Bozza di programma quinquennale di Giolitti (1965-69). Il documento preliminare non ebbe seguito a causa della caduta del governo.

3) Legge 685/1967. Essa conteneva tre articoli ed un programma allegato relativo ad un quinquennio e diviso in cinque parti con la definizione degli obiettivi e le riforme strutturali e di ammodernamento, l’impiego sociale del reddito e lo sviluppo del Mezzogiorno, interventi in vari settori della produzione e i criteri per il finanziamento del programma. Tale programma coniugava la programmazione direttiva con la programmazione per obiettivi e dava molta importanza alla concertazione,tuttavia non venne mai approvato integralmente, ma solo in alcune sue parti come l’istituzione del CIPE e la riforma del Ministero del Bilancio.

4) Progetto 80. Esso era un documento preliminare al Programma Economico nazionale per il quinquennio 1971-75 volto al raccordo tra le scelte di Governo e di altri centri decisionali autonomi. Le azioni programmatiche necessarie erano costituite dai programmi sociali e da una politica generale di controllo dell’economia, il tutto volto ad una ricerca del consenso (contrattazione programmata sulla base delle direttive del CIPE). Per Giannini il Progetto 80 costituiva una programmazione per obiettivi, ma in realtà ciò non fu verificato nella pratica e si abbandonò l’idea di una programmazione economica generale per lasciare spazio ad una programmazione settoriale sulla base di leggi speciali (es°piani regionali per lo smaltimento di rifiuti).

I piani Crpe; le scelte autarchiche delle regioni del nord e i piani delle regioni “povere”

Prima della costituzione delle Regioni a statuto ordinario. Erano stati creati i Crpe (comitati regionali per la programmazione economica) che svolgevano studi ed indagini, nonché schemi di sviluppo regionale e funzioni consultive. Tuttavia i primi Crpe furono troppo autonomi dalle direttive ministeriali e si venne a creare un ampio divario tra il Centro-Nord, in cui si formò una programmazione alternativa rispetto a quella nazionale, ed il Centro-Sud dove si utilizzarono piani inadeguati in logiche di lungo periodo.

La programmazione delle Regioni a statuto ordinario

Con la previsione degli statuti, la Regione diveniva centro decisionale nella formulazione della programmazione nazionale, e non più solo consultivo. La programmazione regionale tuttavia doveva essere compatibile con i principi dell’ordinamento e con la programmazione nazionale. Il procedimento di formazione del programma in relazione alle competenze degli organi è così strutturato: il Consiglio ha competenza sull’approvazione dei piani ed ha competenza esclusiva di intervento nella fase preliminare, mentre la Giunta provvede all’elaborazione del documento di programmazione con la partecipazione e consultazione degli enti minori. Si determinano in tale ambito sia piani generali, comprensivi di tutti gli obiettivi di sviluppo economico e sociale che la regione intende perseguire, che piani settoriali che sono operativi ed esecutivi dei primi e riguardano le materie di cui all’art.117.

Cenni sugli organi e sui soggetti che partecipano alla funzione della programmazione economica

Il CIPE è l’organo all’interno del Governo, sui spetta di programmare gli investimenti nel settore dell’economia secondo un disegno politico. Esso analizza i progetti proposti potendo includere altri soggetti (es: Governatore della Banca d’Italia o presidente dell’ISTAT) alla partecipazione alle proprie riunioni. E’stato qualificato dalla dottrina come un organismo pubblico con poteri di tipo governativo e poteri di amministrazione in senso stretto. I suoi compiti possono essere così riassunti:

  1. Predispone gli indirizzi di politica economica nazionale indicando le linee generali del programma economico.
  2. Determina le linee generali per l’impostazione del progetto di Bilancio di previsione.
  3. Indica le direttive generali per l’attuazione del Programma Economico Nazionale.
  4. Adotta misure anticongiunturali.
  5. Coordina la politica economica nazionale con gli indirizzi espressi dalla UE.
  6. Svolge un intenso programma di rilevazioni statistiche in concerto con l’ISTAT.
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