Sin dall’entrata in vigore del codice, è apparso evidente che da questo fosse auspicato un certo coordinamento tra gli uffici per quanto concerne le indagini sui delitti di criminalità organizzata di stampo mafioso. Nel codice, tuttavia, non esisteva alcuna norma di legge che imponesse tale coordinamento. Se di fronte ai delitti di criminalità organizzata a stampo terroristico lo spontaneo collegamento tra gli uffici della magistratura portava ad ottimi risultati, altrettanto non possiamo dire per quanto atteneva ai delitti di stampo mafioso.

Il codificatore del 1988 ha allora voluto introdurre l’obbligo di coordinazione degli uffici nelle ipotesi in cui le indagini si dovessero considerare collegate, ossia qualora (art. 371 co. 2):

  • i procedimenti siano connessi;
  • si tratti di reati dei quali gli uni siano stati commessi in occasione degli altri;
  • la prova di più reati derivi dalla stessa fonte.

Nonostante l’obbligo fosse già vigente a partire dal 1989, abbiamo dovuto attendere la l. n. 8 del 1992 per veder introdotta una sanzione nelle ipotesi di una sua violazione. Il problema del coordinamento tra uffici, tuttavia, era molto complicato: dal momento che occorreva mantenere indipendente dal potere gerarchico la scelta del pubblico ministero, non era possibile costruire un assetto gerarchico preordinato a tale coordinazione.

Sulla base della proposta di Giovanni Falcone, quindi, si decise di istituire le c.d. procure distrettuali e di porle sotto il controllo del procuratore distrettuale antimafia. Alle procure distrettuali, che non sono altro che l’ufficio della procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di appello nel cui ambito ha sede il giudice competente, sono attribuite le funzioni del pubblico ministero in primo grado in relazione ai delitti di criminalità organizzata mafiosa ed assimilati. All’interno di tale procura distrettuale viene preposta la c.d. direzione distrettuale antimafia, ossia un pool di magistrati che hanno chiesto di dedicarsi esclusivamente ai procedimenti attinenti a questo genere di criminalità.

Secondo l’assetto attuale, quindi, i delitti di stampo mafioso sono attribuiti alle ventisei procure distrettuali presenti in Italia, e non alle oltre centosessanta procure della Repubblica, elemento questo che facilita oltremodo la loro cooperazione.

Attualmente, in particolare, la struttura apicale di cui parlavamo sopra è la procura nazionale antimafia con sede in Roma, al cui vertice è posto il procuratore nazionale antimafia, nominato dal CSM di concerto con il Ministro della Giustizia. Tale procuratore, tuttavia, non ha poteri che vanno ad incidere sull’indipendenza dei singoli magistrati, avendo piuttosto compiti di controllo tesi alla verifica dell’effettività del coordinamento tra i singoli uffici.

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