L’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e la procedura per la correzione di errori materiali integrano entrambe manifestazioni di un potere di iniziativa ufficiosa conferito al giudice.

La prima impone di arrestare lo svolgimento del processo e di far cadere la qualità di imputato non appena maturi la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento. La gamma delle formule terminative considerate dall’art. 129 è vasta e disposta secondo un ordine di priorità improntato alla tutela dell’innocenza dell’imputato. Il riferimento alla mancanza di una condizione di procedibilità va interpretato in senso estensivo, così da comprendervi anche la mancanza di una causa si proseguibilità, e la stessa conclusione vale per le ipotesi di violazione del divieto di bis in idem.

Poiché per la fase delle indagini preliminari non esiste un giudice che proceda, si è dovuto prevedere che l’immediata declaratoria operi solo nel contesto del processo e non anche in ogni momento anteriore. Nelle indagini preliminari un compito equivalente è svolto dall’istituto d’archiviazione.

L’art. 129 comma 1 subisce limiti applicativi dipendenti dalla struttura del processo. Per quanto riguarda le sentenze di non luogo a procedere emesse al termine dell’udienza preliminare va osservato innanzitutto che le relative formule non coincidono con quelle in discorso. Residuano infatti, nell’art. 425 le sentenze che dichiarano trattasi di persona non punibile per qualsiasi causa. La severa compressione che nasceva in quella sede dalla prevista integrazione dl presupposto probatorio dell’evidenza, affinché il giudice potesse dichiarare che il fatto non sussiste o che l’imputato non l’ha commesso o che il fatto non costituisce reato, è venuta meno per effetto della soppressione dell’aggettivo “evidente”. L’art. 425 comma 3 abilita ora il giudice ad emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere un’accusa in giudizio. Dopo di che il parere del giudice di pronunciare ex officio la declaratori di non punibilità trova i suoi limiti nella funzione adempiuta dall’udienza preliminare. Stando alla Corte costituzionale, nell’ipotesi in cui in tale sede la prova risulti insufficiente o contraddittoria, la sentenza di non luogo a procedere verrà pronunciata solo nelle ipotesi in cui è fondato prevedere che l’eventuale istruzione dibattimentale non possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria, diversamente dovrà emettersi provvedimento di rinvio a giudizio.

Nei confronti dei procedimenti speciali, l’art. 444 comma 2 e l’art. 459 comma 3 esplicitano l’incidenza dell’art. 129, la cui concreta applicabilità impedisce l’accoglimento della richiesta, rispettivamente, di applicazione della pena o di ammissione del decreto penale. Alla stessa conclusione si arriva, nonostante il silenzio normativo, per il giudizio abbreviato e per il giudizio direttissimo, ma non per il giudizio immediato.

Negli atti preliminari al dibattimento il proscioglimento anticipato è oggetto di un’apposita regolamentazione nell’art. 469. È ammessa pertanto la declaratoria con le sole formule relative alla improcedibilità dell’azione ed all’estinzione del reato, sempre che per accertarne l’esistenza non sia necessario procedere a dibattimento.

Nei gradi di impugnazione, l’applicabilità ex officio dell’art. 129 comma 1 configura una deroga all’effetto parzialmente devolutivo dell’appello e al carattere del giudizio in cassazione quale controllo di legittimità vincolato ai motivi. In quest’ultima sede, la declaratoria che il reato è estinto o che l’azione non doveva essere iniziata o proseguita si risolve in un annullamento senza rinvio.

L’obbligo del proscioglimento nel merito, quando ne ricorrano gli estremi, anche in presenza di una causa estintiva del reato, è disciplinato dall’art. 129 comma 2. La prova della sussistenza dei presupposti per la pronuncia della formula di merito deve essere già stata acquisita, allorché si accerta la causa estintiva in termina tali da poter essere facilmente contestata, non essendo invece necessario che sia percepibile a prima vista.

Per le sentenze di assoluzione, la prevalenza del merito vale anche quando manca, è insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussista o che l’imputato l’abbia commesso, che il fatto costituisca reato o che il reato sia stato commesso da persona non imputabile. Per le sentenze di non luogo a procedere dovrebbe valere la stessa conclusione, alla luce del nuovo testo dell’art. 425.

La morte dell’imputato non impedisce l’emissione di una sentenza assolutoria o di non luogo a procedere nel merito.

Nel dibattimento si delinea un contrasto tra la regola di giudizio improntata sul riconoscimento dell’innocenza dell’imputato e la regola istruttoria in tema di evidenza ex actis tutte le volte in cui l’imputato voglia esercitare il suo diritto alla prova. Poiché il giudice, davanti alla causa estintiva, altro non potrebbe fare che dichiararla, l’imputato si vedrebbe sottratta la possibilità di ottenere la pronuncia di una formula assolutoria.

Per quanto concerne il giudizio di cassazione, è da ritenersi che possa essere pronunciata la formula di merito quando il giudice di primo o di secondo grado abbia applicato una causa estintiva.

La correzione degli errori materiali (art. 130) opera in presenza di tre presupposti. Ne sono oggetto unicamente gli atti del giudice riportabili al modello delle sentenze, ordinanze e decreti; all’errore materiale non deve essere ricollegata una previsione di nullità; e l’errore si deve sostanziare in una difformità tra il pensiero del giudice e la sua formulazione, mentre l’omissione deve riguardare un comando che discenda, in maniera pressoché automatica, dalla legge. Tuttavia vi sono casi non riparabili ex art. 130: il rimedio allora consiste nell’impugnazione del relativo capo. Infine l’eliminazione dell’errore o dell’omissione   non  deve   comportare   una   modificazione   essenziale dell’atto.

Competente a procedere alla correzione è il giudice autore dell’atto e il procedimento si svolge in camera di consiglio. Le Sezioni unite hanno ritenuto che il procedimento di correzione degli errori materiali operi pure nel giudizio di cassazione.

 

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